Valentina Santarpia per il “Corriere della Sera”
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Ha vinto le Olimpiadi di filosofia ma sa solo di avere ancora tante domande irrisolte nella testa, ha superato i test di ammissione per studiare in 11 prestigiose facoltà americane ma dice candidamente di aver imparato l'inglese leggendo, nel tempo libero approfondisce l'Illuminismo ma prova anche a fare la pizza.
Giovanni D'Antonio, 18 anni, studente del liceo scientifico Torricelli di Somma Vesuviana (Napoli), a due mesi dalla maturità, domani sarà il testimonial della cerimonia di inaugurazione di Procida capitale della cultura.
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Partiamo dalla filosofia: non è roba da tutti.
«Non è vero: se lo scorso anno ho vinto le Olimpiadi è perché mi piace ragionare. La matematica è una dimostrazione rigorosa, la logica lo è altrettanto. E può essere applicata ai problemi della vita quotidiana. Si tratta di schemi mentali. Le domande semplici trovano risposta, quelle complesse no, ma tutti provano a rispondere, e nel farlo, allenano la mente».
Qual è la tua domanda irrisolta?
«Quella sull'etica. Cosa è giusto, cosa è sbagliato, come fare del bene, e cosa significa.
Io vorrei ad esempio che la mia vita avesse uno scopo, anche per il bene degli altri. Ma come faccio a sapere qual è il bene per un altro? Pian piano cerco di mettere tasselli».
Stai pensando ad un lavoro in particolare?
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«Non c'è ancora un lavoro che mi piacerebbe fare, forse un'impresa che abbia scopi sociali. A Napoli c'è un detto famoso: "I soldi muoiono con te nella tomba". Non ha senso arricchirsi, meglio impegnarsi per migliorare le condizioni in cui viviamo. Potrei inventare un'impresa che sottragga anidride carbonica nell'aria o che operi contro la fame nel mondo».
A chi ti ispiri?
«A Kant, perché si è chiesto come si può fare del bene, e secondo me è riuscito a dare delle risposte solide. E poi a Seneca, perché ha un approccio stoico, davvero utile».
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Capito, sei un secchione.
«Ma no, mi piace darmi da fare. Ma faccio la vita normale di un adolescente. La verità è che noi perdiamo un sacco di tempo, e se ci organizziamo possiamo fare tutto. Io faccio tanto sport, come calisthenics, power lifting, corsa, ho tanti amici, una fidanzata».
I tuoi genitori sono orgogliosi?
«Certo. Mi hanno dato tantissimo, devo a loro tutto quello che sono riuscito a fare, mi supportano e sopportano. Ma sono due persone normali, lui è avvocato e lei professoressa. Lo dico perché penso che sia importante far capire che non sono un prodigio, sono solo uno che si è impegnato. Chiunque può farcela, io non ho doti naturali eccezionali, è questione di perseveranza».
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Immagino che allora avrai sempre guardato con sdegno a videogiochi e simili.
«Non è vero. Ho giocato a Fifa a lungo, ora non mi interessa più. La tecnologia mi piace ma non voglio esserne schiavo. Ecco perché ho installato dei timer sulle app perché dopo un certo tempo si blocchino».
Effetto della pandemia?
«Non lo so, non so come mi ha trasformato la pandemia, ma lo ha fatto. Quando è finita, mi sono accorto che non ero più lo stesso».
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E la guerra, come la vivi?
«Con forte interesse e forte rammarico. Da rappresentante di istituto ho aiutato l'organizzazione di una raccolta di medicinali, è stato bello».
Sei spaventato all'idea di andare in America?
«Sì, non so ancora se Harvard, Yale o Princeton. Ma sento di dover correre, di dovermi confrontare con gente molto più brava di me. Non che qui non ce ne siano, ma per crescere abbiamo bisogno di choc».
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La fuga dal profondo Sud sfortunato?
«No, facciamo sparire questa retorica, c'è una situazione di disparità oggettiva ma ciò che fa più differenza è la persona. L'ambiente ci influenza, ma se oggi un ragazzo leggendo la mia storia pensasse "ce la posso fare", sarei contento».