FABIO DI TODARO per la Stampa
La prostata ingrossata «brucia». A differenza di quanto si credeva in passato, è ormai chiaro che l’ipertrofia prostatica benigna si associa a un elevato grado di infiammazione: rilevabile in quasi otto pazienti su dieci.
L’ipertrofia prostatica benigna scaturisce dalla persistenza di uno stato di «allerta» permanente dell’organismo, che può essere determinato da un’infezione (batterica o virale), da alterazioni ormonali, da problemi di natura autoimmune o da un processo di invecchiamento. Di certo c’è che il disturbo spesso condiziona la quotidianità di chi ne soffre. Senza trascurare che un mancato intervento farmacologico, spesso risolutivo, può aumentare il rischio di dover poi ricorrere al bisturi.
Funziona il farmaco estratto da una palma tropicale
Il primo passo da compiere sta dunque nella riduzione dei livelli di infiammazione, da qualche anno possibile grazie anche a un farmaco di origine naturale: l’estratto di serenoa repens, una palma tropicale che, con una formulazione diversa, risultava impiegata già sotto forma di integratore.
«Ma guai a farsi ingannare - afferma Tommaso Cai, urologo all’ospedale Santa Chiara di Trento e segretario della Società Italiana di Andrologia -. Parliamo di un farmaco a tutti gli effetti che deve essere prescritto dallo specialista, anche se il principio attivo viene estratto da una pianta. A oggi l’estratto di serenoa repens non ha mostrato di avere particolari effetti collaterali e ha un elevato profilo di sicurezza».
Rispetto ai farmaci d’elezione per il trattamento dell’ipertrofia prostatica benigna, gli alfa-bloccanti e gli inibitori della 5-alfa-reduttasi, che agiscono in maniera sintomatica, l’aggiunta di serenoa repens allo schema terapeutico appare in grado di agire sulla causa del problema, contribuendo così a ridurre il volume della ghiandola prostatica.
Serenoa indispensabile se le vie urinarie sono irritate
Rispetto ai classici antinfiammatori (Fans), l’estratto di origine vegetale può essere somministrato anche per lunghi periodi. Di norma si parte con un anno di trattamento, che indica già una durata non raggiungibile con i Fans: per via delle ripercussioni a livello gastrico e della coagulazione.
Il farmaco s’è finora rivelato indispensabile per quei pazienti che, oltre ai classici sintomi dell’ipertrofia prostatica legati all’ostruzione del flusso urinario, presentano anche irritazioni dovute all’infiammazione. «Quando andare in bagno diventa una sfida quotidiana, gli uomini fanno spesso finta di nulla per paura e rifiutano di farsi vedere dallo specialista nel timore di doversi operare e dire addio all’attività sessuale - spiega Alessandro Palmieri, docente di urologia all’Università Federico II di Napoli e presidente della Società Italiana di Andrologia -.
Ma oggi l’ipertrofia prostatica si può curare con successo, senza compromettere la qualità di vita sessuale dei pazienti. Per farlo, però, non basta basarsi sulla semplice dimensione della ghiandola, perché l’ingrossamento dipende anche dall’infiammazione. E se l’infiammazione non viene curata, può peggiorare i sintomi e far progredire la malattia, oltre che ridurre l’efficacia delle terapie».
Quando serve la chirurgia
Quando la terapia medica non è sufficiente, la soluzione chirurgica diventa l’unica praticabile per risolvere l’ipertrofia prostatica benigna. Due le opzioni: la resezione endoscopica della prostata (Turp) e l’enucleazione prostatica mediante laser. Non c’è quasi più traccia dell’intervento a cielo aperto. Chiarisce Andrea Salonia, direttore dell’Urological Research Institute all’ospedale universitario San Raffaele di Milano: «La Turp come trattamento di elezione, anche se i vantaggi legati all’impiego dei diversi laser, da scegliere in base alla dimensione della ghiandola al momento dell’operazione, sono diversi: i sanguinamenti si riducono e le recidive diminuiscono, così come il tempo durante il quale occorre convivere con il catetere».
Twitter @fabioditodaro