Estratto dell’articolo di Vittorio Sabadin per “il Messaggero”
Kristin Harila, una famosa scalatrice norvegese, è accusata di non avere prestato soccorso a un portatore morente: il 27 luglio lo ha superato con i suoi compagni di scalata per arrivare in fretta agli 8.609 metri del K2, la seconda montagna più alta del mondo dopo l'Everest. Harila voleva stabilire un nuovo record: avere scalato tutti i 14 Ottomila del mondo in soli 92 giorni.
Mentre lei festeggiava sulla vetta insieme al suo sherpa nepalese Tenjen, 400 metri più sotto, nel «Collo di bottiglia» che è considerato uno dei passaggi più difficili dell'ascensione, Mohammad Hassan, 27 anni, stava morendo di freddo e per le ferite causate da una caduta.
Pakistano, padre di tre figli, aveva deciso di far parte della spedizione pur non avendo quasi nessuna esperienza di scalate, perché aveva bisogno di soldi per pagare le medicine alla madre diabetica. Non indossava guanti, né un piumino tecnico, né aveva bombole d'ossigeno.
Non era uno sherpa: doveva occuparsi della manutenzione delle corde, e alcuni scalatori che lo avevano visto salire senza le protezioni necessarie lo avevano invitato a tornare al campo base, ma non li aveva ascoltati.
Della morte di Hassan nessuno saprebbe niente se sul K2 quel giorno non ci fossero state altre spedizioni in coda per salire. Philip Flämig, un austriaco che scalava con l'amico Wilhelm Steindl, ha filmato con un drone la scia di alpinisti che passava sopra le gambe di Hassan, disteso nella neve su uno stretto passaggio a strapiombo. Una sola persona lo stava assistendo, tutti gli altri si affrettavano verso la cima per raggiungere la quale avevano speso molto tempo, energie e denaro.
«È stata una vergogna ha detto Flämig al giornale Der Standard . Cose del genere sono impensabili nelle Alpi. Se l'uomo fosse stato occidentale sarebbe stato salvato immediatamente, mentre gli sherpa sono considerati esseri umani di seconda classe.
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