Paolo Baroni per la Stampa
La «Guerra dell'energia», come l'ha ribattezzata Confcooperative - che assieme al Censis arriva ad ipotizzare che ben 184 mila imprese potrebbero finire in default mettendo a rischio 1,4 milioni di posti di lavoro - crea grande apprensione.
Nel giro di una settimana il prezzo della benzina è aumentato di altri 23 centesimi (e ben di 32,5 il diesel) oltre quota 2,2/2,3 euro al litro e questo non fa che alimentare nel Paese malumore e proteste. Ieri i sindacati sono tornati a chiedere a Draghi un incontro urgente, protestano gli autotrasportatori (anche se dopo il nuovo incontro di ieri al Mims lo sciopero del 19 è stato congelato) e assieme a loro tutte le categorie investite dal caro energia.
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Ed è forte anche il pressing dei partiti di maggioranza sul governo. Il nuovo decreto La «febbre» del Paese si sta alzando molto velocemente ed il rischio serio è quello di compromettere la ripresa. Anche per questo a palazzo Chigi hanno deciso di intervenire con un nuovo decreto «taglia-prezzi» puntando a ridurre subito di almeno 15 centesimi al litro il prezzo dei carburanti utilizzando l'extragettito dell'Iva.
Quindi, probabilmente in un secondo step, si punterebbe a calmierare ulteriormente i prezzi di gas e luce, oltre a prevedere 800 milioni di euro di ristori per le imprese più danneggiate, garanzie aggiuntive nel campo del credito e la possibilità di allungare la rateizzazione delle bollette. Per mettere a punto gli ultimi dettagli ieri sera a palazzo Chigi i ministri Franco, Giorgetti e Cingolani (Economia, Sviluppo e Transizione ecologica) sono tornati a riunirsi col sottosegretario alla Presidenza, Roberto Garofoli.
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La questione più delicata da definire riguarda la tassazione degli extraprofitti delle società energetiche con cui il governo conta di finanziare una parte delle nuove misure. Salvo intoppi, l'obiettivo sarebbe quello di portare il nuovo decreto al Consiglio dei ministri che dovrebbe essere convocato non più oggi ma domani. A rischio una impresa su 5 Secondo lo studio che il Censis ha realizzato per Confcooperative la combinazione tra caro-energia e crisi provocata dalla guerra rischia di «incenerire» il 3% del Pil. «Un macigno che potrebbe mandare in default 184.000 imprese che danno lavoro a 1,4 milioni di persone», avverte il presidente di Confcooperative Maurizio Gardini. In pratica il 10,5% degli addetti delle imprese italiane e il 10,9% del valore aggiunto è a rischio.
La maggiore incidenza di imprese «parzialmente o seriamente a rischio» si avrebbe nel settore dei servizi (20,5%) e, rispetto alla dimensione di imprese, tra quelle più piccole, arrivando a toccare il 21,3% nella fascia 3-9 addetti a fronte di una media generale del 19,2%. Oltre a questo, sempre secondo il Censis, il 29,8% delle nostre imprese - oltre 285 mila, di cui 221 mila imprese del terziario - non sarebbe in grado di recuperare i livelli di capacità produttiva precedenti la pandemia. «È un'economia di guerra, con molti settori dall'agro-alimentare al welfare alla canna del gas, e per questo occorrono misure di guerra», avverte Gardini che propone al governo di compensare il caro energia coi 60 miliardi di crediti che le imprese vantano nei confronti della Pa.
Anche Bankitalia ipotizza «ricadute rilevanti» a causa della guerra, aggiungendo che «in questa fase di emergenza, in cui l'incertezza sulle prospettive economiche è particolarmente elevata, gli interventi di mitigazione dell'aumento dei costi sono indispensabili». Ma, come ha spiegato ieri in audizione alla Camera il Capo servizio Struttura economica Fabrizio Balassone, gli aiuti contro il caro energia «non possono essere prorogati indefinitamente» e, soprattutto, «andranno resi più selettivi, mirati alle famiglie vulnerabili e alle imprese più colpite dall'aumento dei costi».
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