Morello Pecchioli per “la Verità”
Paolo Monelli è il raffinatissimo padre della nuova sintassi del vino, il dolcestilnovista della letteratura enoica moderna.
Prima di lui, fin da Noè, una pletora di scrittori, letterati e poeti ha riempito pergamene e libri sul nettare degli dèi, ma nessuno ha scritto di vino in modo espressivo e convincente come l'elegante giornalista e scrittore modenese. Monelli è uno stilista: basta una cucitura, una metafora per illuminare la cantina più buia, ingentilire la più briccona delle osterie e nobilitare una vecchia trattoria.
I due libri che scrisse sul buon mangiare e sul bere meglio, Il Ghiottone errante (1935) e O.P. ossia il vero Bevitore (1963), rimangono ancora - mutatis mutandis e con rispetto parlando - la Divina Commedia e I promessi Sposi della letteratura enogastronomica italiana.
Dal Ghiottone errante: «Sugli aurei gnocchi cotti nel burro di montagna versammo l'oro lieve e corrusco del Soave».
C'è tutto: il piatto, il vino, il perfetto abbinamento, il territorio e l'atmosfera. «Sulle paparelle coi fagioli dal colore perso di crepuscolo malinconico accendemmo il sole rosso e ardito del Valpolicella». Magico.
Scrittore erudito, Monelli scioglie le briglie alla cultura applicando la bimillenaria lezione di Orazio: «Non c'è professore meglio del vino». Da O.P. (sono le iniziali latine di Optimus Potor, vero bevitore): «La sera che mi capitò di gustare un Clastidio d'un bel colore sanguigno che si impadroniva del palato con grata ruvidezza, mi venne da definirlo "bellicoso". Qualche giorno dopo seppi che a Clastidium (Casteggio nell'Oltrepò Pavese) le legioni romane del console Claudio Marcello nel 222 a. C. misero in rotta i Galli di Viridomaro. Per arcano modo quei colli abbeverati dal sangue dei Galli danno ancora attraverso i secoli un gusto guerriero al vino che se ne produce».
Monelli mise al mondo generazioni di monellini. Tracciò la via che altri O.P. imboccarono toccando le vette del maestro. Mario Soldati fu narratore altrettanto elegante e colto: «Un sorso: ma neppure il più piccolo sospetto di sapore zuccherino: un asciutto, un amaro tutto amaro, di un amaro gradevolissimo. Un sorso di Gattinara». Nei due volumi di Vino al Vino percorre l'Italia alla ricerca dei vini genuini.
Scrive di territori, di personaggi, di famiglie. Dialoga con i grandi vini italiani e con i meno conosciuti. Nobilita la grappa. Fu il primo, con l'eterno sigaro tra le dita, a percorrere per la Rai, come regista e conduttore, la vallata del Po alla ricerca dei sapori padani genuini. Nel 2006 per il 100° anniversario della nascita, la distilleria veneta Bottega gli eresse un «monumento» di vetro soffiato: la bottiglia Acqua e fuoco, grappa selezionata e un Toscano fatto a mano, il Soldati, nell'incavo della bottiglia.
Luigi Veronelli irruppe nel mondo della vite e del vino come un Robespierre. Sparigliò le convenzioni e la lingua arricchendo il vocabolario enologico di neologismi e modi di dire. Un grande Barolo o un Amarone? Vini da meditazione. Fu il Palazzeschi dei sentòri: libero lessico in libera degustazione. Scandalizzò enotecnici e appassionati quando accostò un Krug 1976 alla parola «sperma»: «Bouquet maschio, diretto, elegante; netto, malizioso e conturbante, sentore di sperma». La Maison di Reims rispose con ironia: «Consigliamo il signor Veronelli di lavarsi le mani quando beve il nostro champagne».
Lasciò, però, un'eredità. Paolo Baracchino, avvocato, sommelier e «fine wine critic», affermò di sentire in uno champagne «profumo di sesso sfrenato» e Piero Grigolato, nei corsi per assaggiatori tenuti per anni, parlò di sentòre d'«amore appena consumato».
Gianni Brera, ovvero Gioânn Brera fu Carlo, poeta del calcio e amante dei vini dell'Oltrepò Pavese (e non solo di quelli) abbinò i vini ai calciatori. «All'amato Barbaresco abbino Maldini e Vialli. Il Barbaresco è principe, non re, però ha il pregio ai miei occhi e al mio palato di avere spume più lievi, persino un po' frivole, in tanta austerità di corpo».
«Quali sono i pedatori degni di venir gemellati a Brunello e Barolo? Due difensori tosti: Baresi e Bergomi». Di un vino siciliano scrisse che gli ricordava un «delitto d'onore». Fantasie audaci? Può darsi, ma il mondo del vino oggi pullula di monellini, soldatini, veronellini e breriani: sommelier e assaggiatori che nel vino sentono di tutto, anche quello che non si sente. Chi ascolta il vino affidandosi a memoria ed esperienze è un vero sommelier. Chi vuol stupire strolicando vocaboli stravaganti e bizzarri è un barocchista del Chianti, il Giovan Battista Marino di Lambrusco e Frascati.
Qualche anno fa - Vinitaly 2014 - Donatella Cinelli Colombini, presidente delle donne del vino e titolare dell'azienda Casato prime donne, accondiscendendo alla geniale trovata di Carlo Alberto Delaini, capo ufficio stampa di Verona Fiere, raccolse nel suo blog un vocabolario di fantasie linguistiche sfrenate.
Luca Gardini, campione del mondo dei sommelier nel 2010, in una vecchia annata di Barolo di Serralunga sentì la cipria: «Una nota polverosa e leggermente aromatica». Baracchino si vantò di distinguere negli aromi del vino colla da colla, Vinavil dalla Coccoina, e latte da latte: quello di cocco da quello di mandorla.
Gran naso, in un vino ha colto l'acidità del gambo di ciclamino spezzato. Il lessico del sommelier d'oggi è un campionario di sentori fragranti, aromatici, balsamici, floreali, ma anche graveolenti. Tra i più curiosi citiamo l'odore di figurine Panini (Eleonora Guerini, Gambero Rosso, in un un vino campano); porro cotto, minestrone (Gigi Brozzoni, Seminario Veronelli in un rosso non giovane); spogliatoio di calcio, canfora (Fabio Giavedoni, Slow Wine, in un Verdicchio); luna park (Franco Ziliani in un Brunello di Montalcino caramelloso).
Nel vocabolario dei sentòri non comuni ci sono pietra focaia, pancetta affumicata, bacon and eggs, punta di matita, coda di volpe bagnata, budella di cinghiale, sudore di cavallo, carruba birmana, kamasutra, cerotto, sangue, acqua stagnante, stalla.
Seguendo per anni degustazioni di vini in tutta Italia, la sommelier e scrittrice Ilaria Santomanco, ha messo da parte una collezione di sentòri-perle con un divertente commento introduttivo (in corsivo). Sognando un harem: Morbidezze da odalisca. Abbinamenti del giorno: Selezione di pesce crudo secondo il pescato. Lo speleologo: Percezioni minerali di roccia rossa da cava. Visita otorinolaringoiatra: Un gusto dolce che rimane sulle tonsille.
Dopo che è passato il gatto: Qualche lisca di acciuga essiccate al sole. Meraviglioso quest' ultimo: Esci da questo corpo!: Si annusa scuro, sensi di baita lontana, lontani rumori e fumi di una carbonaia montana. Il frutto giallo è maturo e dolce e il gelsomino è ormai appassito; al fiume erbe lacustri in secca.
Fieno all'ombra di una quercia, una cartuccia esplosa in un campo di zafferano ed arnie che aspettano la raccolta del miele. Il viaggio si ampia (sic!) in bocca con morbidezze condite da una controllata e viva acidità.
Di un Aglianico del Vulture Luca Maroni parla di «tannicità tramosa» «un vino di persistenza aromatica superiore sì come la sua glicerinosa cremosità estrattiva». L'ultima parola spetta ad Adua Villa, sommelier televisiva, che in un vino eclettico ha sentito la musica di David Bowie.
Dopotutto, se Brera vedeva in Mancini «un labile ma qualche volta esaltante Grignolino», perchè la bella Adua non può avvertire in un vino le scosse rock di Bowie? Edoardo Raspelli, conduttore televisivo, critico enogastronomico , spara: «Ne ho le palle piene di queste boiate. Di un vino mi interessa la storia, il produttore, il territorio. Parole concrete, essenziali». Marzia Morganti, giornalista, sommelier, è d'accordo: «Quando un sommelier dice di sentire odore di pipì di gatto in un vino, mi fa schifo, mi vien da vomitare. È cattivo gusto e spregio verso il lavoro dei vignaioli per esaltare sé stessi».
barbaresco 1 CESARE LANZA - UGO TOGNAZZI - EDOARDO RASPELLI edoardo raspelli 9 edoardo raspelli EDOARDO RASPELLI barolo barbaresco