Giuseppe Videtti per la Repubblica
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Intervista di Pussy power può anche sembrare uno slogan volgare e aggressivo, ma Janelle Monáe ha deciso di usare al femminile lo stesso slang dei colleghi maschi, persino enfatizzato nei video provocatori di Make me feel, Django Jane e Pynk, i tre brani del nuovo album Dirty computer (in uscita il 27 aprile) finora pubblicati; pantaloni a forma di gigantesche vulve e un manipolo di ragazze (capitanate dall' attrice Tessa Thompson che i gossip indicano come la compagna di Janelle) determinate a riappropriarsi del potere del proprio sex appeal per brandirlo a colpi di bacino contro mariti padroni, fidanzati violenti e produttori molesti.
L' artista di Kansas City, 32 anni, protagonista nel 2010 di un esordio esplosivo ( The ArchAndroid) suggestionato dal pensiero di Fritz Lang («Il mediatore tra la mente e le mani deve essere il cuore»), intima confidente di Prince, acclamata interprete di film impegnativi come Il diritto di contare e Moonlight (è anche nel cast di Electric Dreams, la serie televisiva tratta dai racconti di Philip K. Dick), aveva già lanciato il suo manifesto con largo anticipo su Time's up, promuovendo l' organizzazione Fem the future, in nome della quale durante la marcia delle donne su Washington, l'anno scorso, gridò alla folla: «Ricordate di scegliere la libertà sulla paura!».
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Ora Dirty computer, un album creativo e potente in cui tra afrofuturismo e fantascienza non c' è confine, rincara la dose. «Per crescere c' è bisogno di studiare, documentarsi, confrontarsi, conoscere, espandersi, diventare più sicuri e consapevoli», esordisce Monáe. «Avevo bisogno di fare nuove esperienze, e non solo cinematografiche. Dopo il successo di Electric lady incidere subito un nuovo album sembrava passo obbligato, ma io odio sentirmi sotto pressione».
Infatti cinque anni sono un'eternità nel mondo del pop.
«Avevo bisogno di calarmi completamente nei personaggi dei film, due vicende raccontate da una prospettiva squisitamente afroamericana. Il calvario di Chiron (il ragazzino nero, gay e bullizzato di Moonlight, ndr) è esemplare; per me è stata l' occasione di riflettere sulle vite e sulle dinamiche esistenziali di tanti giovani di colore e, grazie al personaggio di Teresa, di esprimermi in una dimensione tenera e materna lontana anni luce dal mio ruolo di pop star».
L'esperienza cinematografica le è stata d' aiuto e d'ispirazione per "Dirty computer"?
«Ci sono inquietanti aspetti sociali - e mi riferisco anche alla brutalità della polizia nei confronti dei neri - che l' America nasconde sotto il tappeto e hanno bisogno di essere raccontati. Il cinema - le sembra paradossale? - mi ha riportato con i piedi per terra. Non scrivo canzoni per accarezzare, ci sono troppe cose che ci fanno sentire a disagio, nella mia arte ci sono soprattutto quelle».
All' imperante maschilismo nel cinema e nella musica risponde con un album vistosamente femminocentrico. L'ha detto a chiare lettere: «Lasciate che la vagina abbia il suo monologo».
«Dopo la morte di Prince, che era diventato il mio consigliere artistico e spirituale, mi sono confrontata spesso con Stevie Wonder. Con lui ho discusso a lungo su quale fosse il modo migliore di "visualizzare in musica" i miei sentimenti e le mie convinzioni, quelli che ho espresso ai Grammy presentando Kesha (un'artista che ha denunciato le violenze subite dal produttore, ndr), in sintonia con Time's up e #MeToo.
"Siamo unite, ci proteggiamo a vicenda e ci stiamo organizzando per creare una rete di supporto per aiutare le più deboli che non hanno la forza di denunciare gli abusi del potere", dissi. La prima reazione è la rabbia, ma il rancore è frustrante se non si traduce in azione.
Stevie mi ha detto: "Esci allo scoperto, cancella il risentimento, esibisci quel che pensi". La soluzione non è la guerra dei sessi. Dobbiamo trovare un terreno comune su cui confrontarci con compassione, amore, comprensione. Tante cose vanno ridefinite, dalla sessualità al sessismo, dalla razza alla religione.
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Le donne devono prendere coscienza del loro potere e del loro fascino; ma nei confronti di violenze e molestie, tolleranza zero, anche a costo di negarsi sessualmente al partner; basta con la sordida, pornografica diffamazione che si fa di noi donne sui social».
Ha collaborato a lungo con Prince, anche per questo album.
«Molte delle idee musicali di Dirty computer appartengono a Prince. L' ultima volta che ci siamo visti fu il primo gennaio 2016, a una festa privata a St Barts dove duettammo. Alla fine parlammo per cinque ore di seguito. Senza l'esempio della Paisley Park di Prince non avrei mai fondato la mia organizzazione, la Wondaland Arts Society. È stato lui a farmi capire l'importanza di lavorare in totale libertà».
Musicalmente come è cresciuta? I suoi primi idoli?
«Le donne di casa mi hanno introdotto al gospel, la mia curiosità mi ha spinto verso Prince, Stevie Wonder, i Talking Heads e David Bowie. Niente mi è stato servito su un piatto d' argento. Sono nata in una famiglia proletaria, ma la povertà non è mai stata un limite, mi ha stimolato immaginazione e creatività. Mi ha aiutato a volare».
Ora che Prince e Bowie sono morti e Obama (Janelle è una buona amica di Michelle) non è più il presidente il paesaggio sembra assai più desolato.
«Soprattutto per certe pericolose regressioni sociali - il conformismo diffuso, ad esempio - e i problemi che i nuovi media accentuano o riacutizzano: trame dei poteri forti, intolleranza, populismo, il razzismo tutt'altro che sopito e l'assenza di dialogo tra generi e sessi».
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