Filippo Femia per "La Stampa"
coppia gay aggredita da un gruppo di ragazzi
Prima gli sguardi infastiditi, poi gli insulti, infine un'aggressione brutale. Quella che doveva essere una vacanza al mare si è trasformata in un incubo per Francesco (nome di fantasia) e i suoi amici torinesi. Sabato sera, centro di Palermo, sono passate da poco le 21.30.
Il 29enne torinese stringe la mano di un altro ragazzo, poi si scambiano un bacio. Alcuni giovani palermitani si avvicinano, circondano minacciosi la coppia e iniziano a insultare: è l'innesco di un feroce pestaggio che avviene sotto gli occhi di tutti nella centralissima via Maqueda.
Una violenza cieca che lascia Francesco con il naso rotto, un occhio pesto e diverse ferite giudicate guaribili in 25 giorni. «Ma a fare più male è la paura che adesso mi sento addosso», confessa il ragazzo.
Appena atterrati sull'isola, gli amici avevano vissuto un episodio spiacevole al ristorante: «Stavo baciando il ragazzo che era con me, una signora si è fermata e ci ha ordinato di smetterla: "Così terrorizzate i miei bambini", ci ha detto. Assurdo».
Dai tavoli vicino qualcuno prova a intervenire in difesa dei ragazzi, il ristoratore si scusa: «Ma sono stati tentativi molto timidi. Il vero messaggio è stato: "È meglio se evitate di baciarvi". Lì abbiamo capito che eravamo in un territorio ostile».
Mai, però, avrebbero immaginato che di lì a qualche ora sarebbero sprofondati in un incubo. Come testimoniano gli schizzi di sangue che impregnano i pantaloni bianchi di Francesco.
Francesco, come sta?
«Meglio. Anche se ho il naso fratturato, l'occhio destro pesto e pieno di sangue. E poi dolori in tutto il corpo. Ma la cosa peggiore è la paura che mi sento addosso dopo l'aggressione».
Cosa è successo sabato sera?
«Io e un altro ragazzo stavamo passeggiando mano nella mano, poi ci siamo baciati. Un gruppo di ragazzi, potevano avere dai 16 ai 25 anni, ci ha circondato e ha iniziato a insultarci. Noi abbiamo chiesto di lasciarci stare e se ne sono andati».
Poi?
«Sono tornati armati di bottiglie. Uno di loro si è lanciato contro di me impugnandone una: voleva sfregiarmi, ne sono sicuro. Poi gli è scivolata e ha iniziato a colpirmi senza fermarsi. Pugni in faccia, calci, una violenza cieca. Sono crollato a terra quasi subito».
Ma il pestaggio non si è fermato.
«Gridavo, chiedevo di smetterla ma le botte sono continuate. È arrivata una pioggia di calci su tutto il corpo, da terra mi sono protetto come potevo. Urlavano in dialetto siciliano, non siamo riusciti a capire: ma erano insulti omofobi, era evidente».
coppia gay aggredita a palermo
Erano le 21.30 di sabato sera e quella zona è molto frequentata. Nessuno è intervenuto per aiutarvi?
«Nessuno ha mosso un dito. Le nostre urla non lasciavano spazio a dubbi, ma nessuno si è fatto avanti. L'aggressione è terminata quando due ragazze che erano con il branco hanno intimato di smetterla».
Avete sporto denuncia?
«Questa mattina (ieri, ndr) subito dopo che mi hanno dimesso dall'ospedale con una prognosi di 25 giorni».
Il sindaco di Palermo ha parlato di «atto vile e criminale».
«Non immaginavo che i messaggi di vicinanza potessero farmi sentire meglio, ma così è stato. Vorrei che da questa mia tragedia personale possa nascere qualcosa di buono: un cambiamento vero nella nostra società, la fine delle aggressioni alle persone Lgbt».
Se avesse di fronte i suoi aggressori, cosa direbbe?
«Sono ancora sotto choc, è come se mi avessero marchiato: non credo che li incontrerei. Ma immagino che riuscirei a perdonarli: nei loro occhi non ho visto odio, ma paura. Sembravano più spaventati di me. Sono convinto che la vera colpa non sia loro».
In che senso, scusi?
«Quei ragazzi non fanno altro che replicare i meccanismi violenti radicati nella nostra società, basata sul modello del patriarcato eterosessuale che educa all'odio».
Il Ddl Zan può essere la soluzione?
«Deve essere soltanto l'inizio. Una base di partenza per chiedere di più, senza fermarci a quella legge. Bisogna lavorare sull'educazione, insegnare a creare dialogo, spiegare che la violenza non può mai essere la risposta. Dobbiamo costruire qualcosa di nuovo. Non è più tollerabile pensare che qualcuno possa anche solo concepire la violenza contro una persona che ha un orientamento sessuale differente».
Dopo l'aggressione avete lasciato la Sicilia?
«No, abbiamo deciso di restare ma ci siamo spostati. È come una risposta d'orgoglio all'aggressione: andarsene sarebbe stata una sconfitta. E poi spero che il mare, dopo questo anno di pandemia, possa aiutare a dimenticare questo terribile episodio».