J-Ax per "La Stampa"
La morte di Lorenzo Parelli, 18enne vittima del lavoro e dell'idea che la scuola debba essere una incubatrice di operai per le aziende italiane, è stata una tragedia che ha colpito molti. Ha lasciato senza parole me. Ma vorrei vedere una vera e propria sollevazione popolare, mi piacerebbe vedere che, come Paese, dicessimo no a situazioni simili.
Mi sembra assurdo che degli studenti delle superiori e medie - in strada dopo aver visto un loro coetaneo morire durante uno stage organizzato dalla scuola - siano terreno di caccia per le nostre forze dell'ordine quando manifestano pacificamente.
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Qualcuno ha cercato di giustificare le scene di teenager con la testa sanguinante o ragazzine manganellate da svenute a terra come «reazione a delle provocazioni». Per inciso, le provocazioni sarebbero delle uova cadute per terra o degli insulti.
Se io dovessi reagire così alle «provocazioni» che ricevo io ogni giorno sui social, dovrei passare le giornate a sprangare persone. Non lo faccio perché penso di essere più maturo di chi mi vuole offendere - e nel mio caso spesso parliamo di 50enni.
Comportarsi così nei confronti dei nostri figli mi sembra assurdo, soprattutto dopo che li abbiamo costretti a passare gli ultimi 2 anni a studiare le guerre puniche dentro Zoom. Dovremmo celebrare il loro coraggio, il loro attivismo.
Non hanno scelto di pubblicare un hashtag su Tik Tok o Twitter e auto congratularsi per il proprio impegno, no, hanno marciato in piazza con la volontà di lasciare simbolicamente una trave di cartapesta davanti alla sede di Assolombarda.
E noi, come Paese, come adulti, li abbiamo ancora una volta delusi. Non è la prima volta che vediamo questo comportamento. Quando, prima della pandemia, i ragazzi italiani hanno scioperato in massa per chiedere alla politica di fare qualcosa contro il riscaldamento globale, i boomer - che si sono sempre lamentati dell'indifferenza delle nuove generazioni - invece di celebrarli, li hanno attaccati con una veemenza che ho raramente visto.
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Addirittura hanno linciato verbalmente la 16enne che li aveva ispirati, prendendo in giro il suo autismo o addirittura mettendo in dubbio che avesse veramente la sindrome di Asperger.
Forse, per non finire al pronto soccorso, invece di protestare contro i 18enni che muoiono lavorando, avrebbero dovuto passare le loro giornate a incazzarsi su Instagram contro questo o quel protagonista di reality. O a «protestare» cambiando la loro foto profilo.
Questo è l'unica maniera in cui la nostra società ormai accetta le proteste: attraverso iniziative simboliche e, allo stesso tempo, completamente vuote e inutili. Per fortuna tanti ragazzi non lo hanno accettato e - a vedere la reazione dopo le cariche della polizia - non lo accetteranno in futuro. Quello che noi «grandi» possiamo fare è almeno supportarli.
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