Fa.Ro. per "il Messaggero"
Tremila medici in tutta Italia, di cui 195 solo nel Lazio, si sono dimessi volontariamente dal loro lavoro in ospedale, in appena un anno, prima di aver maturato il diritto ad andare in pensione. Lo rivela l' associazione di medici dirigenti Anaao-Assomed. «Il lavoro in ospedale, infatti, non è più attrattivo - si spiega in una nota - Pochi decenni fa, essere assunti a tempo indeterminato in un reparto ospedaliero era un traguardo, l'obiettivo.
Era il posto fisso di prestigio, che dava soddisfazione professionale, opportunità di carriera, una certa sicurezza economica. Ci si realizzava. A nessuno sarebbe mai venuto in mente di dimettersi dagli ospedali. Oggi non è più così». E così nel Lazio, oltre ai pensionati, lo scorso anno il 2,4 per cento dei medici ospedalieri ha lasciato il posto per scelta.
A spingere i medici a lasciare volontariamente il lavoro in ospedale, secondo Anaao-Assomed, sono diversi motivi: «Il taglio del personale e la carenza di specialisti hanno creato organici sempre più ridotti rendendo insostenibile il carico di lavoro».
Quindi «la presenza delle donne in sanità è in progressivo aumento, e i turni disagevoli previsti dal lavoro in ospedale non consentono, soprattutto a loro, di dedicarsi alla famiglia come vorrebbero». In queste condizioni, «il privato diventa sempre più attrattivo, anche per la possibilità di un trattamento fiscale agevolato del reddito prodotto - si legge nella nota - La medicina di famiglia o specialistica ambulatoriale per il fatto di non conoscere il lavoro notturno e festivo. La speranza è soprattutto di avere un lavoro meno burocratico, più autonomo, con orari più flessibili».
I medici ospedalieri «si sentono semplici pedine per coprire i turni, prestatori d' opera ai quali mandare ordini di servizio, chiedere di sopperire alle carenze del sistema o pretendere sempre maggiore produzione ed efficienza. Non parte di un progetto, ma elementi marginali, sostituibili, che pesano sul bilancio quando sono malati, in gravidanza o in congedo, anche per motivi formativi».