Luigi Ferrarella per www.corriere.it
Dai genitori spera appoggio, e trova invece botte e insulti quando gli rivela la propria omosessualità: genitori egiziani ora condannati dal Tribunale di Milano non soltanto per lesioni personali al figlio 15enne (il padre) e per omissione di soccorso e concorso omissivo nelle lesioni (la madre), ma anche con la rara aggravante di aver agito con «fini di discriminazione» per motivi di orientamento sessuale o di identità di genere.
Da tempo il ragazzo avvertiva il disagio di non riuscire a parlare in famiglia del proprio essere omosessuale, e — perseguitato dai bulli a scuola e senza amici — era arrivato anche a compiere atti di autolesionismo come tagliarsi la pelle sulle spalle o ingerire sostanze tossiche. Un pomeriggio prende coraggio e decide di rivelare ai genitori il proprio orientamento sessuale sperando che lo possano comprendere e gli diano appoggio verso l’esterno. Crea allora un gruppo WhatsApp in cui inserisce anche i telefoni del padre e della madre, e vi condivide un filmato su una ragazzo arabo omosessuale, sotto il quale scrive il commento «anche io sono gay».
Ma tornato a casa, viene rimproverato dalla madre, secondo la quale nessun musulmano si sarebbe mai comportato così, in quanto sempre secondo lei il Corano vieterebbe di legarsi a persone dello stesso sesso; e poi, di fronte al figlio che replica di non essere d’accordo con questa interpretazione del Corano, comincia a urlargli che è stata l’istruzione a rovinarlo, e che dunque dovrà lasciare la scuola.
Un’ora dopo, quando il padre torna a casa, assiste senza intervenire alla furia dell’uomo che lo butta giù dalla sedia con uno schiaffo violento, lo prende a calci anche in faccia e lo irride pesantemente, «vuoi sposarti con un uomo? Allora tirati giù i pantaloni che ti…». E mentre il ragazzo si rannicchia sul pavimento, la madre riempie una valigia con i libri di scuola che il padre sentenzia vadano gettati nell’immondizia.
Per il giudice Luca Milani, che accoglie la richiesta del pm Antonio Cristillo, «è fondata la contestazione dell’aggravante della discriminazione legata all’orientamento sessuale», perché «l’aggressione perpetrata dal padre è stata nitidamente ispirata da sentimenti di odio verso l’autonomia manifestata dal minore sulle proprie scelte di genere». E la mamma, «nella propria posizione di garanzia, appunto in quanto madre, aveva l’obbligo giuridico di impedire le lesioni» al figlio minorenne: invece «nulla ha fatto per evitare che il figlio fosse picchiato, anzi «ha omesso anche di prestargli le cure necessarie».
Al punto che il giudice, nel condannare il padre a 2 anni di carcere e la madre a 1 anno, con 10 mila euro di provvisionale sui danni non patrimoniali ai figlio tutelato dal curatore speciale Giorgio Conti e dall’avvocato Floriana Maio, ritiene non concedibili le circostanze attenuanti generiche e la sospensione condizionale della pena ai genitori «venuti meno ai loro doveri educativi».