Giuseppe Guastella per il “Corriere della Sera”
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Per più di quattro anni un viadotto con i sostegni delle travi portanti «in stato di compromissione» è stato una spada di Damocle pericolosamente sospesa su migliaia di automobilisti che ogni giorno transitano lungo la Tangenziale Ovest di Milano, una delle arterie più trafficate d' Europa.
Solo quattro mesi dopo il tragico crollo del ponte di Genova il viadotto è stato finalmente chiuso per un mese, riparato e riaperto il 7 gennaio scorso dalla società Milano-Serravalle che poi ha avviato un' azione disciplinare nei confronti del proprio direttore generale, Paolo Besozzi, che replica: «È una ritorsione, un pretesto per licenziarmi».
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Sono necessari «interventi di somma urgenza» per «mantenere il viadotto in esercizio di sicurezza» perché «risulta evidente» che «non ci sia più la capacità» di «garantire le prestazioni a cui dovrebbe assolvere»: il 20 ottobre del 2014 devono saltare sulla sedia nella società Milano Serravalle-Milano Tangenziali, che gestisce tangenziali e autostrada A7 ed è a capitale misto pubblico/privato, quando arriva l' allarme degli ingegneri della Milano Serravalle Engineering, l' azienda di progettazione del gruppo, che hanno ispezionato la struttura.
Parte da qui la «contestazione disciplinare» con la quale il 27 dicembre scorso l' amministratore delegato, Andrea Mentasti, imputa a Besozzi «gravi negligenze, imperizia e colpevole inerzia che avrebbero potuto portare a gravissime conseguenze per l' utenza di quel tratto autostradale, oltre che a comportare pesanti riflessi nei rapporti della società con il concedente» in caso di incidenti.
Bisogna però attendere il 2017 prima che venga varato, ma solo sulla carta, il «Progetto esecutivo di manutenzione straordinaria» sul viadotto di Rho. A Besozzi, nominato dg il 10 gennaio di quell' anno, Mentasti contesta che «si sarebbero dovuti attuare senza alcun indugio, in somma urgenza, interventi di manutenzione straordinaria» e «misure provvisorie», invece nulla «veniva realizzato».
Il campanello di allarme squilla forte dopo la tragedia di Genova del 14 agosto 2018 quando il Ministero delle infrastrutture chiede alle concessionarie autostradali di controllare ponti e viadotti di loro competenza.
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Un paio di settimane dopo, Besozzi comunica ai vertici di Mi-Se che «nessuno dei manufatti presenta criticità strutturali tali da richiedere immediati lavori di messa in sicurezza», si legge ancora nelle contestazioni. Rassicurazione che viene confermata il 26 settembre quando, accusa sempre Mentasti, nonostante le «significative condizioni di ammaloramento» dell' opera, viene proposta una gara d' appalto che avrebbe comportato «l' inizio dei lavori nell' ultimo trimestre del 2019».
Non la pensano così i tecnici della Engineering che il 12 ottobre «sollecitano il posizionamento di martinetti provvisori di sostegno dei piloni» del viadotto Rho che «presentavano un' anomala inclinazione». Sono i «plinti» arrugginiti e piegati che si vedono nelle foto scattate prima della riparazione.
Il direttore generale, scrive Mentasti, dopo un sopralluogo personale (Besozzi è un ingegnere civile) ha detto che «non esiste alcuna situazione di pericolo imminente» e che «l' allarmismo era ed è tutto ingiustificato e atecnico», ma anche che comunque era opportuno «provvedere all' esecuzione delle opere di manutenzione straordinaria presentate entro il 2020». Contro tale convinzione si schierano ancora i tecnici della Engineering, per i quali c' è «necessità e urgenza» di «garantire la massima sicurezza della struttura e dell' utenza», e due ingegneri esterni, che invitano a chiudere il viadotto, cosa che avviene il 10 dicembre.
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Il direttore generale ribatte punto su punto le contestazioni (riguardano anche altre questioni amministrative) con le sue giustificazioni premettendo di farlo, però, «nella consapevolezza della loro assoluta inutilità attesa la decisione che lei ha già assunto in spregio di qualunque norma giuridica e contrattuale, delle regole e di correttezza e buona fede e, mi sia consentito, anche delle tutela finanziaria dell' azienda», scrive il 12 gennaio a Mentasti il quale, aggiunge, il 20 dicembre gli aveva chiesto di dimettersi altrimenti sarebbe stato licenziato.
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Questo «rende palese l' intento ritorsivo del procedimento disciplinare» che ha la sola funzione di «fornire all' amministratore delegato la strada formale per liberarsi della mia persona», aggiunge annunciando «ingenti richieste risarcitorie per i danni» personali e professionali subiti. Contrattacca facendo notare che la vicenda è cominciata tre anni prima della sua nomina e che, di conseguenza, le accuse andrebbero rivolte anche ai vertici e ai tecnici che l' hanno preceduto.
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A meno che non si dica che la società è stata amministrata prima del suo arrivo «da una banda di incoscienti ed irresponsabili che, pur a conoscenza della situazione di pericolo per l' incolumità delle persone, avrebbe omesso di provvedere alla messa in sicurezza urgente del manufatto, addirittura stralciando l' intervento dal piano di investimenti». Nessun documento tecnico, sostiene, prima di ottobre 2018 ha mai parlato di «lavori in somma urgenza né palesava uno stato di pericolo, tantomeno imminente».
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È stato lui, precisa, a trasmettere a dicembre 2017 il progetto di manutenzione al Ministero facendo il possibile per accelerare i tempi dei lavori. Restano, conclude, «la correttezza del mio operato» e una contestazione «artatamente costruita al fine di rinvenire un motivo per allontanarmi dall' azienda». Mentasti e Besozzi non hanno voluto commentare la vicenda con il Corriere della Sera . Gli avvocati sono già al lavoro.