Luigi Ferrarella per il ‘Corriere della Sera’
Per quanto paradossale possa a posteriori apparire, è un po' come se la Procura di Milano, al momento ieri di chiedere 10 condanne per «corruzione internazionale» di politici e burocrati dell'Algeria da parte di Saipem (controllata da Eni), stesse prendendo in parola proprio l'allora amministratore delegato Eni Paolo Scaroni, quando costui il 31 gennaio 2013 - commentando l' indagine all' epoca solo sull'amministratore delegato di Saipem Pietro Tali per quei 197 milioni di commissioni pagati alla sconosciuta intermediaria hongkonghese «Pearl Partners Limited» - raccontava al ministro Passera che «la magistratura di Milano pensa, e io sono pure d' accordo, che siano in qualche modo tangenti date alla politica algerina, non sappiamo bene a chi, ma a qualche algerino».
O come se la Procura stesse dando retta all’ex direttore operativo Saipem, Pietro Varone, quando nei primi verbali (dopo l'arresto nel 2013) chiamava in causa direttamente Eni; o stesse traducendo il marmoreo silenzio processuale di Tali, di cui Scaroni al telefono con un interlocutore paventava che «il rischio più grave è quello di un Tali il quale impa...» (impazzisca e racconti i fatti, nella lettura con cui il pm completa la parola lasciata a metà).
Tali invece è rimasto in silenzio nei due anni di processo, Varone in Tribunale ha fatto retromarcia, e Scaroni (divenuto coimputato di Tali) ha spiegato che dopo aver letto gli atti non pensa più le cose brutte su Saipem che aveva detto a Passera.
E adesso sono ormai più di 5 anni che - posti sotto sequestro tra Lussemburgo, Svizzera, Libano e Hong Kong sui conti riconducibili al latitante (a Dubai) uomo d' affari algerino Farid Bedjaou - aspettano un legittimo proprietario i 197 milioni di dollari che la Procura di Milano ritiene finte commissioni d'agenzia pagate da Saipem alla inattiva «Pearl Partners Limited» di Bedjaoui: in realtà tangenti, nella ricostruzione d' accusa, pagate fino al 2010 da Saipem a politici algerini (quali l'allora ministro dell' Energia Chekib Khelil, sposato con una sorella del leader palestinese Arafat, e di cui Bedjaoui era il segretario particolare presentato durante gli incontri del ministro come «un bravo ragazzo che per me è come un figlio»), in cambio di una protezione globale a Saipem in 8 contratti energetici per un valore di 11 miliardi di dollari e un profitto netto a fine 2012 di 1 miliardo pre-imposte.
Ieri il pm Isidoro Palma, dopo 12 ore di requisitoria in due giorni, propone al Tribunale un futuro nuovo proprietario di quei 197 milioni: lo Stato italiano. Che, a suo avviso, oltre a confiscarli a Bedjaoui, candidato dal pm a 8 anni di carcere, dovrebbe condannare per «corruzione internazionale» anche le persone giuridiche Eni e Saipem (ciascuna alla sanzione massima di 600 quote, cioè 900.000 euro, per la responsabilità amministrativa degli enti), e a 6 anni e 4 mesi pure l'ex n.1 Eni Scaroni;
a 5 anni e 4 mesi l'allora responsabile Eni in Nord Africa, Antonio Vella, che dal luglio 2014 con l'avvento in azienda di Claudio Descalzi guida una delle tre unità di business riorganizzate appunto dal nuovo amministratore delegato Eni (qui teste ma a sua volta imputato il 5 marzo nel processo Eni-Nigeria); a 6 anni e 4 mesi l' ex ad di Saipem, Pietro Tali; a 6 anni l' ex direttore finanziario di Saipem e poi di Eni, Alessandro Bernini; a 7 anni e 4 mesi (con la confisca di 7 milioni) Varone; a 4 anni e 10 mesi il braccio destro di Bedjaoui, Samyr Ouraied; a 6 anni l' altro intermediario Omar Habour.