L.D.P. per “La Verità”
È finito in carcere per droga perché «non poteva non sapere». Parlava di soldi e pagamenti con la segretaria di un'azienda di fiori, ma il Pm si era convinto che fosse d'accordo con presunte attività illecite della ditta. I carabinieri in piena notte gli piombano in casa e gli consegnano l'ordinanza di custodia cautelare.
All'epoca, era il 28 settembre 2015 quando scattò l'operazione che diede il via alla sua odissea giudiziaria, Mario Tirozzi era un fioraio di 31 anni e viveva con i genitori a Capua (Caserta). Il racconto, raccolto da Benedetto Lattanzi e Valentino Maimone dell'archivio online Errorigiudiziari.com, è incredibile. L'accusa è traffico internazionale di stupefacenti. «Si basava sul principio per cui non potevo non sapere», dice Tirozzi.
«Risultavano alcune intercettazioni telefoniche e ambientali con le segretarie di un'azienda di Latina che fornisce piante e fiori, in cui parlo di pagamenti e soldi. Qualcosa di ovvio per un imprenditore del settore come me, e invece gli investigatori dicevano che non potevo non sapere che quei soldi finivano in obiettivi illeciti, un'attività parallela fuori legge».
Tirozzi resta chiuso in carcere per 21 mesi e mezzo. Dopo il primo processo, con rito abbreviato, il tribunale di Roma lo condanna a 7 anni di reclusione. In un primo momento gli contestano anche il reato di ricettazione, ma il giorno della requisitoria il pm ammette di avere sbagliato. Tirozzi chiede ripetutamente gli arresti domiciliari per assistere il padre malato, ottenuti dopo una serie di dinieghi. Il 29 novembre 2017 al processo d'appello viene assolto, ma la sua vita è in frantumi.
L'azienda è stata messa in liquidazione, fornitori e clienti lo hanno abbandonato. Il danno psicologico è stato forse più forte. A chi gli chiede se ha ancora fiducia nella giustizia, risponde di no.