Estratto da Paolo Russo per lastampa.it
Prima la carenza di farmaci, ora quella dei dispositivi medici, dalle garze agli stent e alle valvole cardiache, che rischiano di non essere più consegnati più ai nostri ospedali per effetto di una tempesta perfetta. Quella scatenatasi da un lato per via dell’aumento dei costi delle materie prime e dei trasporti, dall’altro per effetto del pay back, il meccanismo che impone alle aziende del settore il pagamento di 2,2 miliardi di sforamento della spesa per il periodo 2015-18, più un altro miliardo e 800 milioni per il periodo pandemico.
Secondo la Fifo, l’associazione dei distributori, se il governo non troverà una soluzione entro il 30 aprile, data ultima fissata per il pagamento degli sforamenti di spesa, gli strumenti che potrebbero mancare nei nostri ospedali a causa dello stop delle forniture è più che mai nutrito. Sterilizzatori, prodotti per la circolazione extracorporea, ventilatori polmonari per le rianimazioni, protesi ortopediche e cardiache, dispositivi per la dialisi e ferri chirurgici, tanto per citarne alcuni.
Ma già oggi il combinato disposto di caro energia e materie prime, affianco all’incertezza determinata dal pay back inizia a farsi sentire con ritardi sempre più pesanti nelle forniture ospedaliere.
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Una situazione che secondo i produttori rischia di aggravarsi se non verrà superato entro il 30 aprile il meccanismo del pay back «che impone alle imprese il pagamento di sforamenti di spesa, determinati in realtà da regioni e aziende sanitarie che nella gare di fornitura fissano prezzi e volumi dei dispositivi che le stesse aziende sono obbligate a fornire, pena l’imputazione di interruzione di pubblico esercizio», spiega la direttrice generale di Confindustria dispositivi medici, Fernanda Gellona. Per superare l’impasse la stessa associazione dei produttori propone un sistema invertito di governo della spesa, che anziché partire da tetti puntualmente sottostimati prenda le mosse dalla stima dei bisogni di salute per poi programmare prestazioni e acquisti.