Estratto dell'articolo di Micol Sarfatti per www.corriere.it
IL PRINCIPE - VITTORIO EMANUELE DI SAVOIA
È il 18 agosto 1978. Un colpo di fucile buca la notte dell’Isola di Cavallo, Corsica. Colpisce Dirk Hamer, 19enne tedesco in vacanza con amici italiani, che morirà in ospedale dopo 111 giorni di agonia. Per l’omicidio viene accusato e poi scagionato Vittorio Emanuele di Savoia, figlio dell’ultimo Re d’Italia, all’epoca in esilio. L’epopea giudiziaria coinvolge Italia e Francia.
La sentenza di assoluzione arriva nel 1991 dalla Corte d’Assise di Parigi: il calibro del proiettile ritrovato nella gamba del ragazzo è di una pistola e non di un fucile, arma posseduta dal Savoia. Una vicenda complessa e dolorosa si espande come veleno nelle vite di tutti coloro che la sfiorano e in quelle delle loro famiglie. Come insegna la tragedia greca le colpe, o più semplicemente gli atti, dei padri ricadono sui figli.
Quarantacinque anni dopo Beatrice Borromeo Casiraghi, regista, giornalista, moglie di Pierre Casiraghi, torna a affrontarla ne Il Principe . La docuserie è disponibile su Netflix ed è già tra le più viste della piattaforma. In tre episodi ricuce un racconto approfondito attraverso i filmati d’epoca, le testimonianze di Birgit Hamer, sorella della vittima, degli allora ragazzi che vissero la fatidica notte, tra loro anche il presidente del Coni Giovanni Malagó e, soprattutto, di Vittorio Emanuele e del figlio Emanuele Filiberto di Savoia.
[…] Nel 2011 pubblica sul sito del giornale un video del 2006 in cui Vittorio Emanuele, detenuto a Potenza per l’inchiesta Vallettopoli, confessa di aver fatto partire il colpo fatale. «Mi è venuto spontaneo schierarmi con chi voleva la verità senza avere il potere, poi però mi sono resa conto di essere stata molto aggressiva con i Savoia. Vivevo la vicenda in modo troppo personale», prosegue. «Oggi ho stabilito una giusta distanza. Sono tornata ad ascoltare. Era importante parlare con il Principe, trovare momenti di empatia con lui e farne emergere i lati umani».
Nella docuserie si dà ampio spazio alla testimonianza di Emanuele Filiberto, che all’epoca di Cavallo aveva sei anni. «È stato molto coraggioso», sottolinea Borromeo. «Non ha solo risposto alle domande, mi ha aiutato anche con la ricerca delle immagini. Ha subito quanto le figlie di Birgit. Sono stati ragazzi tormentati da vicende più grandi di loro». Emanuele Filiberto ha però diffuso a pochi giorni dall’uscita de Il Principe una nota in cui si è detto: «Costretto con dolore a tornare su vicende che da anni sono state definitivamente chiarite e consegnate alla verità e alla giustizia. Non accetto che la promozione di un documentario diventi l’occasione per diffondere notizie false».
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Raggiunto telefonicamente spiega: «Non conoscevo Beatrice e tra noi non correva buon sangue, ma abbiamo deciso di farci intervistare perché poteva essere l’occasione di un racconto di mio padre oltre i fatti di Cavallo. Ci sono davvero testimonianze varie e equilibrate. Non capisco perché la promozione e il dibattito ora si concentrino solo sulla sedicente confessione di Potenza, che confessione non è, con cui già si è provato, senza successo, a ribaltare una sentenza di uno Stato sovrano». […]
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