Salvatore Riggio per “il Messaggero”
Se chiedessimo alle persone di condividere la password del proprio home banking o dell'account di posta elettronica con qualcun altro, molto probabilmente la maggioranza risponderebbe di no. Però, quando si tratta di servizi di streaming la condivisione è una prassi abbastanza comune. Può sembrare una pratica banale, ma la condivisione delle proprie password può diventare pericolosa, esponendo gli utenti a rischi ben superiori di quelli che si possono immaginare, come l'accesso a dati sensibili e la possibile compromissione dell'account stesso.
La condivisione delle proprie credenziali nell'account sharing - ossia la condivisione dell'account, per esempio di un servizio di streaming spesso tra persone che non si conoscono, non solo è poco sicuro per gli utenti (e ancora c'è poca consapevolezza dei rischi), ma si sta trasformando sempre in un vero e proprio business.
Un'abitudine che riguarda, in tutto il mondo, milioni di persone che utilizzano gli account delle piattaforme senza pagare o condividendo i costi e che, nell'ambito di siti e social network, è arrivata a sfociare fino alla commercializzazione degli abbonamenti e quindi anche delle password.
Un'attività distorsiva che sta causando danni all'intera industry dello streaming legale: dall'intrattenimento a quello musicale, fino a quello sportivo, con il conseguente impoverimento dei contenuti e dell'offerta del proprio servizio.
LA LOTTA
Ma la industry come sta combattendo il fenomeno? Circoscrivere in maniera chiara l'ambito di utilizzo sembra essere la prima mossa per contribuire a limitare l'account sharing. Per esempio, Netflix specifica che l'account è destinato a persone che vivono insieme in un unico nucleo domestico: rappresenta il profilo Netflix ed è associato ai dispositivi del titolare dell'account principale e a quelli utilizzati da altre persone che vivono in quel nucleo.
A inizio anno proprio il colosso dello streaming, in occasione della presentazione dei risultati del primo trimestre 2022, ha evidenziato come ai 222 milioni di famiglie che hanno sottoscritto l'abbonamento, si vadano a sommare altri 100 milioni di famiglie che, attraverso modalità non in linea con le condizioni di utilizzo, usufruiscono del servizio senza pagare.
Per contrastare il fenomeno, l'azienda ha iniziato a testare modalità per monetizzare la condivisione. Oppure Spotify, leader del mercato dello streaming musicale: offre ai suoi utenti una specifica offerta dedicata alle famiglie che vivono sotto lo stesso tetto e possono utilizzare fino a sei account Premium.
SALVAGUARDIA DEL PRODOTTO
I principali player sono corsi ai ripari ed è di qualche giorno fa l'annuncio di Dazn, leader dello streaming sportivo in diretta, che ha presentato il nuovo piano di abbonamento per la prossima stagione, mutuando dalla practice vigente in Italia e chiarendo ulteriormente le proprie condizioni di offerta. Quali le novità per la stagione 2022/2023?
Un'offerta «Plus» che permette la visione dei contenuti sportivi in contemporanea anche da due dispositivi diversi che si trovano a distanza (non sulla stessa «rete domestica») e una «Standard» con cui sarà possibile la visione in contemporanea su un dispositivo alla volta o su due dispositivi diversi, ma solo se connessi alla stessa rete domestica.
Un piano di offerte che, come ha voluto sottolineare l'azienda, riflette il valore degli eventi sportivi live trasmessi, il valore del prodotto del campionato, la proposta editoriale e l'investimento in diritti premium compiuto per trasmettere la serie A fino alla stagione 2023-2024, un investimento complessivo di 2,5 miliardi di euro.
E' un modo questo per contrastare le forme illecite di condivisione e per combattere un fenomeno che impatta negativamente sulla capacità di investire nel prodotto, compromette il valore dell'industria del calcio e quella della distribuzione dei diritti, così come la crescita di tutto il settore che, a cascata, ha conseguenze significative sul business. Dati alla mano, una pratica che come è emerso alla fine dello scorso anno sembra attestarsi intorno circa al 20% di media di utilizzi malevoli della contemporaneità della visione, riscontrati dalla piattaforma di live streaming.