Carla Favaro per "www.corriere.it"
Basta dare un’occhiata alle etichette dei prodotti alimentari per rendersi conto di come siano sempre più diffusi i messaggi (claim ) che ne vantano particolari proprietà nutrizionali o salutistiche.
Un esempio? L’indicazione «a ridotto contenuto calorico» e quella « i betaglucani dell’orzo aiutano a ridurre il colesterolo ematico» rappresentano rispettivamente un claim nutrizionale (in quanto suggerisce che quell’alimento abbia particolari proprietà nutrizionali benefiche) e uno salutistico (inerente la relazione tra un alimento, o uno dei suoi componenti, e la salute).
I messaggi
Ma questi claim ci aiutano davvero ad essere più informati? Una recente indagine, realizzata da due docenti del Dipartimento di Studi Economici e Giuridici dell’Università degli Studi di Napoli Parthenope e descritta in un articolo appena pubblicato su Nutrients, ci aiuta a rispondere L’indagine è stata condotta via web su un campione di 500 consumatori rappresentativo della popolazione italiana.
Utilizzando un questionario costruito ad hoc, i ricercatori hanno valutato le motivazioni dei partecipanti a prestare attenzione ai «messaggi» il loro grado di conoscenza nutrizionale; la percezione della loro abilità nella interpretazione dei claim; la verifica di tale abilità attraverso la valutazione di alcuni claim autorizzati dall’EFSA (European Food safety Authority).
Che cosa è emerso
Che cosa è emerso? Fondamentalmente i risultati suggeriscono che i consumatori italiani non prestino molta attenzione ai messaggi in etichetta e che, anche quando ritengono di essere in grado di interpretarne correttamente il significato, spesso si sbaglino. Lo si è osservato per esempio per i claim nutrizionali «senza zuccheri aggiunti» e «a basso contenuto di sodio».
Nel primo caso la maggior parte degli intervistati interpretava il claim come riferito a prodotti che non contengono affatto zucchero o ne contengono meno rispetto a prodotti analoghi.
Nel secondo caso, il claim veniva facilmente inteso non nel senso che il contenuto di sodio di quel prodotto rispettava i limiti previsti per poter essere definito tale (per gli alimenti, non più di 0,12 grammi per 100 grammi), ma si credeva che l’alimento fosse stato preparato senza l’aggiunta di sodio o avesse meno sodio rispetto a prodotti simili.
Informarsi
Che cosa possiamo dedurre da indagini come questa? «Per poter decidere meglio la nostra dieta — ricorda Dario Dongo, avvocato esperto di diritto alimentare internazionale e fondatore del sito Great Italian Food Trade — è importante informarsi di più.
È però anche vero che le modalità di espressione dei claim spesso inducono in errore il consumatore. Specie quando le indicazioni sono su alimenti con profili nutrizionali squilibrati che, anche con l’aggiunta di vitamine o minerali , rimangono sempre tali».
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