I MILIZIANI HANNO PERSO LARGHI SETTORI DI GAZA MA RESISTONO NEI TUNNEL
Estratto dell'articolo di Daniele Raineri per “La Repubblica”
Soldati israeliani a piedi si scattano foto ricordo in piazza del Milite ignoto, un luogo simbolo nel centro di Gaza City, a due settimane dall’inizio dell’invasione. È qui che Hamas organizzava le adunate con migliaia di partecipanti, coreografie importanti e i discorsi dei leader dal palco – incluso Yahia Sinwar, che in questi giorni è il più ricercato per il suo ruolo negli attacchi del 7 ottobre.
Altre foto mostrano soldati rilassati fra i carri armati in via Beirut, una via nel sud di Gaza City e altre ancora li mostrano sulla spiaggia di Gaza City, ribattezzata “Nova beach” dal nome del festival musicale attaccato da Hamas il 7 ottobre. Quando si vedono i soldati israeliani fuori dai mezzi senza preoccupazioni vuol dire, ovviamente, che la linea del fronte è distante e che i combattimenti sono finiti da molte ore – se non da qualche giorno, almeno in quel luogo specifico.
[...] Ma adesso ci sono vaste aree che sono sotto controllo israeliano, soprattutto sul lato mare. La resistenza di Hamas dentro Gaza City sta venendo meno più rapidamente di quanto si pensasse prima dell’invasione, almeno in superficie. Poi entrare nei tunnel sarà un’altra faccenda, ma chi controlla la superficie ha grandi vantaggi su chi è dentro ai tunnel.
Anche il fatto che il flusso di civili palestinesi che fuggono dal Nord sia in aumento è un segnale importante che la presa di Hamas sul Gaza City si sta indebolendo. I militari israeliani hanno diviso in due la Striscia di Gaza nei primi giorni dell’invasione, per occuparsi prima del settore Nord che include Gaza City, la zona che era più densamente popolata prima dell’evacuazione dei civili.
Ci sono ancora settori del Nord in mano a Hamas, in particolare nell’entroterra, come il campo profughi di Jabalia, parti del campo profughi di al Shati e il blocco formato dai quartieri di Tuffah e Shujayeh, dove il gruppo palestinese è storicamente molto forte.
NELL’INFERNO DI JENIN DOVE LA JIHAD TRASFORMA I PROFUGHI IN GUERRIGLIERI
Estratto dell'articolo di Greta Cristini per “Il Messaggero”
«Tieni nonna, queste sono le foto che potrete utilizzare al mio funerale quando anch'io morirò da martire». È la confidenza gelida di un bambino di 5 anni nato nel campo profughi di Jenin e che, dopo aver perso il fratello in uno degli scontri a fuoco contro le Forze di Difesa Israeliane (Idf) più cruenti dal 7 ottobre qui, nella "piccola Gaza" della Cisgiordania, vede la massima realizzazione del suo futuro nella caduta per resistenza armata contro Israele. [...]
La mattina dopo l'ultima notte di violenza per i vicoli stretti del campo si incontrano ragazzini quindicenni che al posto del gelato tengono in mano AR15, fucili semiautomatici statunitensi che hanno imparato a caricare e scaricare in pochi secondi. Gli stessi che a qualche isolato di distanza sparano in aria raffiche di proiettili che si alternano al canto "Allah Akbar" durante i riti funebri che quotidianamente salutano "gli eroi di Jenin". [...]
Il tutto sotto l'egida delle bandiere dei partiti palestinesi, quelle gialle di Fatah, quelle rosse del Fronte Popolare (Fplp), quelle verdi di Hamas e a seguire quelle degli altri movimenti armati che abitano la città. Il tutto sotto l'occhio vigile di un drone da ricognizione israeliano che col suo ronzio scandisce i minuti di silenzio dei partecipanti.
gaza distrutta dai bombardamenti israeliani
Nel campo profughi più conservatore, temuto e insanguinato della West Bank, vicoli angusti si alternano a piazze di detriti. Sono le macerie lasciate dell'esercito israeliano che a ogni raid distrugge con i suoi bulldozer il pavimento delle strade, sradicando i monumenti eretti in nome della resistenza palestinese, incluso quello dedicato alla giornalista Shireen Abu Akleh, freddata con un colpo alla testa da un cecchino lo scorso anno proprio dentro il campo. [...]
«L'occupazione colonialista israeliana non ci vuole popolo educato che esige il rispetto dei propri diritti, vuole silenziarci al suono dei carri armati. Noi palestinesi vogliamo vivere in pace e credevamo genuinamente che gli Accordi di Oslo del 1993 fossero il primo passo verso un futuro nuovo di convivenza.
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Poi l'esercito di liberazione palestinese (Olp) ci ha traditi perché è divenuto un fantoccio dell'esercito israeliano. Così ogni volta che un soldato israeliano mette piede a Jenin, i soldati dell'Olp si nascondono e dalla finestra ci guardano morire senza far nulla. La frustrazione che ne deriva fra le nuove generazioni fa sì che nonostante i nostri sforzi, il sogno di mio nipote di 5 anni sia quello di morire martire come suo fratello. [...]
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