Estratto dell’articolo di Giacomo Amadori e François De Tonquédec per “La Verità”
Esattamente tre anni fa proruppe nella celebre esclamazione: «Non rispondo alle polemiche di chi parla dal salotto col cocktail in mano». Sembra passato un secolo, da quando il suo volto rotondo e scapigliato entrava nelle nostre case attraverso lo schermo televisivo, pronto a snocciolare i dati di contagi e decessi.
Adesso quel compagno di tanti bollettini, l’ex commissario straordinario Domenico Arcuri, è quasi sparito dai radar, ma presto potrebbe finire alla sbarra. Dopo tre anni, finalmente, un giudice deciderà se mandare a processo lui ed altri dieci imputati per la maxi commessa da 801 milioni di mascherine cinesi costate 1,2 miliardi di euro.
È stato un parto lungo e faticoso, ma a partire dal 15 settembre il gup Mara Mattioli darà il via all’udienza preliminare, propedeutica al rinvio a giudizio chiesto in questi giorni dagli inquirenti capitolini. Il nome di maggior peso è proprio quello di Arcuri, accusato di abuso d’ufficio, il reato di chi «intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale» e che prevede una pena da uno a quattro anni («aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno carattere di rilevante gravità»).
Secondo i pm capitolini, infatti, Arcuri in concorso con il suo collaboratore Antonio Fabbrocini e con l’imprenditore Nicolas Venanzi, concedendo a tre consorzi cinesi, presentati dagli intermediari guidati dall’ingegnere Andrea Vincenzo Tommasi, «anticipazioni dei pagamenti […]prima di ogni verifica in Italia sulla qualità delle forniture e validità dei documenti di accompagnamento», avrebbe di fatto limitato le offerte a favore di Tommasi & c., dal momento che a tutti gli altri importatori italiani veniva negato lo stesso trattamento «imponendo loro di acquistare, a proprio carico, i dispositivi da fornirsi, con pagamento a verifica della merce in Italia».
Tommasi e Venanzi sono anche indagati per traffico di influenze illecite, insieme agli altri mediatori dell’affare: il giornalista Mario Benotti, la sua compagna Daniela Rossana Guarnieri, il broker ecuadoriano Jorge Solis, il banchiere sammarinese Daniele Guidi, l’imprenditore Georges Fares Khouzam e il cittadino cinese residente a Roma Cai Zhongkai, il rappresentante in Italia delle tre società che hanno fornito le mascherine.
DOMENICO ARCURI GIUSEPPE CONTE
Durante l’indagine la già enorme somma di 66 milioni di euro di provvigioni accertate, destinate a Tommasi (48,8 milioni), Benotti (per gli inquirenti alle società da lui controllate insieme con la compagna sarebbero arrivati 11,9 milioni) e a Solis ( destinatario di 5,8 milioni) è cresciuta di altri 12,2 milioni, finiti su un conto corrente della Hang Seng bank di Hong Kong e destinati a Guidi.
A Fabbrocini, responsabile unico del procedimento di approvvigionamento di dispositivi di protezione, la Procura contesta anche la frode in pubbliche forniture, in concorso con Tommasi, Venanzi, Guidi e Zhongkai. I cinque, secondo l’accusa, avrebbero fornito al governo italiano, «essendo venuti a conoscenza della inidoneità delle forniture e, ciononostante, avendo agito per validarle all’uso sanitario» prodotti «non conformi» e «inidonei all’uso sanitario» se non «addirittura pericolosi per la salute».
Il riferimento è a vari lotti di mascherine che hanno portato nello scorso ottobre la Procura di Roma a sequestrare tutti i dispositivi della fornitura ancora presenti nei magazzini. In assenza delle certificazioni europee, in alcuni casi espressamente previste dai contratti, i cinque avrebbero superato l’ostacolo «con l’artifizio di far pervenire al Comitato tecnico scientifico (Cts, ndr) test report/certificati di conformità non genuini, così promuovendo validazioni in violazione di legge».
Un comportamento che ha portato anche alla contestazione di falsità ideologica: Guidi per aver procurato «le certificazioni utili alla validazione delle forniture irregolari» e Zhongkai per averle depositate presso il Cts. Tommasi e Venanzi avrebbero anche effettuato «la sostituzione delle certificazioni inizialmente valutate non a norma», inducendo così «il Cts ad attestare falsamente la conformità dei presidi sanitari importati».
DOMENICO ARCURI GIUSEPPE CONTE
Dunque mentre Arcuri ammoniva gli italiani dalla tv, questa banda del buco gli forniva protezioni farlocche per combattere la guerra contro la pandemia con armi spuntate.
I pm hanno allegato alla richiesta di rinvio a giudizio un’informativa del Nucleo speciale di Polizia valutaria della Guardia di finanza con l’elenco di circa 900 «conversazioni di interesse»: 332 riguardano l’utenza di Benotti, 238 quella di Tommasi, 20 quella di Arcuri. Tra le telefonate del giornalista-imprenditore ne spicca una dell’11 ottobre 2020 diretta al cellulare dell’ex premier Romano Prodi e durata una trentina di secondi.
telefonata tra filippo moroni e domenico arcuri 2
Contattato dalla Verità, l’ex premier ci ha spiegato: «Non ho avuto con Benotti nessuna telefonata che avesse per oggetto le mascherine o qualsiasi altra questione di tipo commerciale». Il fondatore dell’Ulivo non ricorda quando abbia conosciuto il giornalista e il motivo per cui lo abbia contattato in quell’occasione. Ma esclude che lo abbia fatto per affari. Tra gli interlocutori di Arcuri, in conversazioni apparentemente istituzionali, compaiono il presidente della Regione Abruzzo Marco Marsilio, quello della Regione Umbria Donatella Tesei, l’ex sindaco dell’Aquila Massimo Cialente, il direttore generale della Prevenzione sanitaria presso il ministero della Salute Giovanni Rezza, e Walter Ricciardi, già consigliere del ministro della Salute Roberto Speranza.
La telefonata che Ricciardi fa ad Arcuri avviene il 19 novembre, giorno in cui La Verità svela l’esistenza dell’indagine. Tra le comunicazioni del 2021 due sono con Luciano Flor, direttore della Sanità della Regione Veneto; una è con Letizia Moratti, all’epoca assessore al Welfare della Regione Lombardia; l’ultima è con Sandra Zampa, sottosegretario alla Salute del Governo Conte 2.
Anche in questo caso, si tratta di contatti apparentemente fisiologici visto il ruolo di Arcuri, anche se la telefonata della Zampa (durata oltre 15 minuti) avviene il 27 febbraio 2021, quando la ex portavoce di Prodi non ricopre alcun ruolo istituzionale. […]
gli sms di arcuri a benotti quarta repubblica