1.CACCIA AGLI EVASI, LITE SULLA SICUREZZA
Federica Angeli per “la Repubblica”
La caccia grossa ai due detenuti evasi domenica sera dal carcere di Rebibbia ormai si è estesa a tutta Italia. Potrebbero infatti aver lasciato già la capitale Catalin Coibanu, 32 anni, e Flomin Mihai Diaconescu di 28, entrambi romeni, detenuto il primo per sequestro di persona e omicidio e il secondo per rapina e ricettazione. Il processo con rito abbreviato di quest’ultimo si sarebbe dovuto celebrare proprio oggi. Gli ultimi ad averli visti sono stati due agenti della penitenziaria che hanno dato l’allarme al 112 mentre scavalcavano l’ultimo muro che separa il carcere dalla strada, via Tiburtina. Da lì hanno preso un pullman direzione Tivoli.
Polizia e carabinieri hanno diramato le loro foto segnaletiche e organizzato posti di blocco in tutta la città, al momento senza esito, malgrado l’appello di consegnarsi lanciato dai loro avvocati. Sul fronte procura si sono aperti due fascicoli: il primo per evasione nei confronti, il secondo, senza ipotesi di reato, nei confronti del carcere.
I magistrati capitolini hanno chiesto al Dap una relazione dettagliata sulla dinamica dell’evasione e non è escluso che gli agenti di guardia quella domenica pomeriggio nel carcere romano di Rebibbia possano essere iscritti nel registro degli indagati. È evidente che più di qualcosa nel sistema di vigilanza non ha funzionato.
A cominciare dalla grata segata del magazzino da cui i due romeni sono passati per lasciare l’edificio. Così come di nulla si è accorto chi ha permesso che i fuggitivi superassero ben tre sbarramenti. Oltre al magazzino del reparto G11, due muri uno alto 7-8 metri e l’altro 6, più una rete elettrosaldata.
«Da Rebibbia è facilissimo evadere – racconta un poliziotto della penitenziaria che presta servizio da anni lì – e non solo per la carenza di personale. Ieri c’erano 9 poliziotti per 300 detenuti al G 11. Il sistema di videosorveglianza, costato due anni fa due milioni di euro, è stato disinstallato. È a fotocellule ma talmente sensibile che scattava a ogni volo di uccello, quindi da un anno e mezzo è out.
Ancora: le nostre due macchine fuori dal muro, all’esterno, non ci sono più, sono state soppresse 5 anni fa. Come è stata soppressa la procedura di “battitura delle sbarre”, ovvero una pratica secondo cui, ogni agente del turno pomeridiano deve passare cella per cella e battere una sbarra di metallo sulle grate per vedere se sono state manomesse».
2. L’OBLÒ DI VALLANZASCA E LA SPARATORIA DI CUTRÌ QUELLE FUGHE DA FILM
Corrado Zunino per “la Repubblica”
Francis Turatello e Vallanzasca
Il bandito Renato Vallanzasca evase da un oblò del traghetto che da una banchina del porto di Genova avrebbe dovuto portarlo in Sardegna. Il bandito Graziano Mesina evase dieci volte, ventidue ci provò. Tra le sue fughe riuscite quella da una toilette di un treno in corsa e poi la discesa lungo una tubazione dell’acqua dell’ospedale di Nuoro. L’Italia delle prigioni e delle prigionie ha un elenco di evasioni che è un pamphlet d’avventure. Ogni anno lo aggiornano.
Il carcere romano di Rebibbia, da cui sono fuggiti con sega e lenzuolo i due romeni altamente pericolosi ora ricercati in tutta Italia, è l’istituto penitenziario più violato. Il 12 febbraio del 2014, praticamente due anni fa, fuggirono allo stesso modo due italiani: Giampiero Cattini e Sergio Di Paolo. Fecero scendere per tre piani le lenzuola annodate alla “Terza casa”, l’area in cui sono reclusi i tossicodipendenti. Rapinatori di borgata, lasciarono un biglietto di scuse alla direttrice, scuse sentite.
Cattini tornò dalla famiglia a San Basilio, quartiere pasoliniano dove per strada si faceva il tifo per i fuggitivi e si ostacolava la polizia. «Volevo rivedere mio figlio». L’altro, Di Paolo, più giovane, in ospedale ad Ascoli Piceno: saltando il muro di cinta si era fratturato una gamba. Sono stati ripresi entrambi. Da Rebibbia c’è chi — l’estremista nero Gianluigi Esposito insieme al rapinatore tunisino Bellaiche — fuggì aggrappandosi ai pattini di un elicottero.
Il 3 febbraio del 2014 — febbraio è il mese delle evasioni — l’omicida Domenico Cutrì, condannato all’ergastolo per aver ucciso un polacco che aveva insidiato la sua donna, fuggì dal Tribunale di Gallarate grazie a un’azione dalla violenza esplosiva: un commando armato, i due fratelli (uno ucciso) e quattro complici. Il calabrese Cutrì sarà riarrestato in un casolare del Milanese senz’acqua né luce, la pistola poggiata sotto il divano dove stava dormendo.
Alla vigilia del Natale 2013 esultò anche il ministro di Giustizia Annamaria Cancellieri — «Evviva, evviva» — alla notizia dell’arresto a Mentone dopo fuga dal carcere di Marassi di Bartolomeo Gagliano, serial killer savonese che alternava omicidi (prostitute e transessuali) a sequestri, giochi erotici con il proiettile in canna a rapine. Gagliano — ora confidente, ora ricercato — fu usato dalla polizia nelle indagini sul serial killer per antonomasia, Donato Bilancia. I giudici di sorveglianza, invece, gli hanno sempre dato fiducia e lui sempre li ha ripagati fuggendo dai manicomi criminali, Montelupo Fiorentino, Reggio Emilia. Gagliano si è tolto la vita in carcere, un anno fa.
Lo scorso 9 gennaio è stato ritrovato nascosto nel suo paese in Puglia Fabio Perrone, l’ergastolano fuggito un mese prima dall’ospedale di Lecce sfilando la pistola dalla fondina dell’agente penitenziario che, per consentirgli un esame, gli aveva tolto le manette. Non è stato ancora ritrovato Piergiacomo Azzali, 32 anni, lui scomparso il 7 novembre da una clinica psichiatrica nel Cuneese. Appena arrivato in stanza, l’uomo si è appartato, ha aperto una finestra senza inferriate, ha scavalcato un cancello di tre metri e si è dileguato. Dicono che è socialmente pericoloso.