Adelia Pantano per “la Stampa”
Aurela Perhati è una vittima. Vittima di un uomo che ha tentato di violentarla e da cui lei ha solo cercato di fuggire via guidando disperatamente, in preda al terrore. Era accusata dell'omicidio volontario di Massimo Garitta, 53 anni, ritrovato il mattino di Capodanno del 2019 in un campo tra l'ex Statale del Turchino e la massicciata della ferrovia a Ovada, nell'Alessandrino. Nudo dalla cintola in giù, sull'erba i segni evidenti delle gomme di un'auto. Aurela Perhati, 25 anni, ieri è stata assolta: la sua, ha stabilito il giudice, era legittima difesa.
A lei gli investigatori arrivano quattro giorni dopo la scoperta del cadavere. Sul giubbotto di pelle di Garitta, morto per schiacciamento, è impresso un numero associato a un particolare tipo di marmitta e a quel punto non ci vuole molto a individuare la Y della famiglia di Aurela. La storia Garitta è un uomo che vive ai margini, tutti a Ovada sanno che va da lui chi cerca della droga.
Aurela non ha una storia di tossicodipendenza, ma è una ragazza tormentata, è stata anche ricoverata in ospedale a Novi Ligure per le sue difficoltà; e la sua fragilità emerge tutta quando viene fermata e interrogata il 4 gennaio 2019: da subito dice che Garitta ha tentato di abusare di lei, sulle gambe ha ancora i segni della violenza con cui lui cercava di immobilizzarla, dice che l'ha investito tentando di scappare via. Ma quel suo primo racconto è contraddittorio, confuso, e Aurela finisce in carcere.
Secondo i suoi difensori, Giuseppe Cormaio e Marco Conti, ogni incertezza e ogni passaggio illogico, sono dovuti a problemi di natura psichiatrica che vengono accertati anche dalla perizia chiesta dal Gip: quella sera, quando raccontava la drammatica notte di San Silvestro, Aurela era affetta da un «grave disturbo schizoaffettivo» che limitava «al lumicino» le sue facoltà mentali, e hanno portato a quelli che il perito stesso definisce «deragliamenti logici». La giovane a quel punto viene scarcerata e messa ai domiciliari, che sono stati revocati ieri dopo la sentenza, ma li sconta in una comunità.
Il processo Ex commessa nel grande Outlet di Serravalle Scrivia, la ragazza viveva con la famiglia nel centro di Ovada. Le intercettazioni disposte nelle prime fasi delle indagini non fotografano altro che la disperazione di una famiglia normale: «Se ha fatto qualcosa deve andare in carcere o farsi curare», dicono i genitori. Che Aurela sia fragile e confusa lo dicono poi anche i periti. Che sia stata aggredita lo certificano i medici del carcere di Vercelli dove era stata rinchiusa.
E poi ci sono le perizie sui segni lasciati dalla macchina sull'erba che evidenziano una fuga disperata. Tutti elementi su cui hanno puntato i legali per chiedere l'assoluzione per legittima difesa contro gli 8 anni di carcere chiesti in abbreviato dalla procura di Alessandria, secondo cui invece le tracce sarebbero state lasciate da chi era al volante con la precisa volontà di uccidere. Aurela voleva solo difendersi, voleva solo scappare via. Lei lo aveva detto un anno e mezzo fa. Ieri lo ha detto anche un giudice.