Andrea Pasqualetto per il “Corriere della Sera”
Non c' è un giallo, non c' è un assassino, non c' è una mano misteriosa che costrinse Marco Pantani a prendere la dose letale. Ma la nuova indagine sulla morte del Pirata certifica comunque una novità diametralmente opposta alla pista del delitto. Secondo il procuratore di Rimini Paolo Giovagnoli è infatti più probabile il suicidio dell' overdose accidentale di cocaina che era stata ipotizzata alla conclusione della prima inchiesta, partita il giorno in cui il Pirata fu trovato riverso a terra e senza vita in una stanza del residence «Le Rose» di Rimini, 14 febbraio 2004, e conclusa con la condanna per droga di due spacciatori.
Così, almeno, scrive il magistrato della città romagnola nelle venti pagine di «richiesta di archiviazione per infondatezza della notizia di reato» con le quali chiude la nuova indagine, questa nata lo scorso anno da un esposto-denuncia presentato dall' avvocato Antonio De Rensis per conto dei genitori del campione, Ferdinando Pantani e Tonina Belletti.
«Non sono emersi elementi concreti a sostegno dell' ipotesi che Pantani sia stato volontariamente ucciso da terze persone - scrive Giovagnoli -. Anzi, i dati convincono che la sua morte sia dipesa esclusivamente dalle sue stesse azioni, tanto da far ritenere più probabile un volontario suicidio che una morte causata accidentalmente da una volontaria eccessiva assunzione di cocaina».
Nella sua denuncia mamma Tonina, che più di tutti si è adoperata per cercare di far riaprire il caso, supportata da De Rensis e da una consulenza del professor Francesco Maria Avato, docente all' Università di Ferrara, aveva messo in fila una serie di incongruenze della vecchia inchiesta: le ferite sospette, la scia di sangue vicino al corpo come da «trascinamento», i mobili della stanza spostati con troppa accuratezza per una persona in preda a delirio, i tre giubbotti trovati nonostante lui fosse arrivato in albergo con una sportina di plastica e fosse rimasto da solo, il filmato della polizia girato dopo la tragedia «e poi tagliato», i materassi «lacerati in modo strumentale», il «bolo» di coca ripreso accanto al corpo e che alcuni non avevano visto, varie testimonianze ritenute contraddittorie...
Una lunga lista di «anomalie, dubbi, perplessità» che gettava un' ombra di sospetto su chi aveva indagato all' epoca, come se fosse stata alterata la scena del crimine con un «disordine organizzato».
Il procuratore non ha dubbi: tutti elementi irrilevanti, messi insieme «verosimilmente per cercare di cancellare l' immagine del campione depresso vittima della tossicodipendenza».
Giovagnoli, che ha indagato direttamente sulla vicenda per un anno chiedendo una consulenza al professor Franco Tagliaro, direttore dell' Unità di Medicina legale dell' Università di Verona, ha risposto punto per punto affidandosi anche alla perizia. Le ferite? «Compatibili con la crisi convulsiva».
La scia di sangue? «Movimenti spasmodici prima della morte». I mobili spostati? «Irrilevante». Il filmato? «Tagli ininfluenti». Mentre «i materassi li ha aperti l' ispettore Lancini alla ricerca di sostanze stupefacenti». E il bolo? «Il medico Nicolini l' aveva notato».
Per la procura la prova regina del probabile suicidio è la porta: «Ostruita da mobili: nessuno poteva mettere degli ostacoli e poi uscire da tale unico accesso».
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Mamma Tonina non ci sta: «Ora inizia la guerra». L' avvocato De Rensis sa da dove iniziarla: «Ci opporremo davanti al gip e possiamo fare istanza di avocazione dell' inchiesta a Bologna». Dopo 11 anni e due indagini il caso non sembra chiuso.
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