Fabio Poletti per “la Stampa”
C' era chi temeva che l' odio anti casta potesse arrivare anche qui, nelle celle scavate nel cemento del carcere di Bollate alle porte di Milano. E invece è tutto un «salute, Presidente», «buongiorno, Presidente», «come sta, Presidente?». Roberto Formigoni, cella numero 315, terzo piano, primo reparto, solo qui è ancora il Presidente.
Più un modo di dire che uno status, per l'ex governatore della Regione Lombardia in cella da venerdì scorso per scontare cinque anni e dieci mesi di carcere per corruzione, anche se ha 71 anni compiuti ed è qui per la norma spazzacorrotti che per adesso ha spazzato solo lui. Sul tavolo al centro della cella con gli sgabelli e quattro letti di cui solo tre occupati, ci sono i giornali su cui ha letto quello che scrivevano di lui.
«Sono sollevato nel vedere che non solo nel mio partito ci si interroga sul fatto che io sia in carcere e non agli arresti domiciliari», racconta lui a chi lo vede con lo sneakers ai piedi, i pantaloni scuri come il maglione con la zip, abiti casual con i quali non è stato infrequente vederlo anche quando stava fuori. Il suo avvocato Mario Brusa è andato a trovarlo ieri.
Bisogna discutere le strategie giudiziarie, in attesa che si esprima la Corte d' Appello sull'istanza per gli arresti domiciliari. «L'ho trovato come chi si trova ad affrontare una situazione nuova, ma determinato nel cercare di guardare all'evoluzione della sua vicenda. Oltre al ricorso stiamo prendendo in esame altre iniziative».
La vita lì dentro intanto è quella che è. In cella con lui ci sono due detenuti comuni italiani, di mezza età. Il primo giorno gli hanno rifatto la branda. Quasi ogni giorno cucinano per lui, ma è solo perchè è un modo per riempire il tempo, senza alcune deferenza. Nel reparto le celle sono aperte dalle 8 del mattino alle 20 per fare socialità. E poi ci sono alcuni laboratori dove i detenuti possono anche lavorare.
Don Antonio Sfondrini, uno dei cappellani del carcere, ha già avuto modo di incontrarlo alla messa di domenica: «L'ho trovato sereno. Mi ha detto che vuole occuparsi di volontariato». Una delle possibilità è che possa impegnarsi in biblioteca dove devono essere catalogati tutti i libri a disposizione dei detenuti.
Un paio di volumi Roberto Formigoni se li è portati da casa. Sta rileggendo «La banalità del male» di Hannah Arendt sul processo ad Adolf Eichmann, sul tavolo c'è un libro sulle strategie di sviluppo industriale e l'immancabile Vangelo con il quale prega quotidianamente, insieme all'inseparabile rosario che si è portato in cella.
L'altro giorno ha incontrato anche il Garante dei detenuti della Lombardia Carlo Lio che ha già aperto otto sportelli per i detenuti in altrettante prigioni: «L'ho trovato bene compatibilmente con la situazione. Mi ha detto che la sera aveva guardato la partita di Coppa del Milan. Sulle scale ho incontrato anche Alberto Stasi di Garlasco, sta nello stesso reparto ma non so se si sono parlati». E anche a lui Roberto Formigoni fa la raccomandazione che fa a tutti: «Siate forti. Io ho la coscienza a posto e la fede che mi sostiene».