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Emanuele Lauria per “la Repubblica”
La Lega al bivio più difficile della sua storia recente. Mentre Matteo Salvini si arrovella in attesa di sapere se la sua defatigante campagna elettorale (trentamila chilometri in un mese e mezzo) sarà servita davvero a risalire la china, l'ala istituzionale del partito - rappresentata in particolare dai governatori del Nord-Est - si prepara a una resa dei conti che potrebbe portare a un cambio della guardia. In perfetta sintonia con i vertici di Fratelli d'Italia. È una manovra a tenaglia, quella che rischia di stritolare il segretario del Carroccio nelle prossime ore.
Tutto ruota attorno al risultato leghista: sotto il 12 per cento sarebbe una sconfitta per Salvini, sotto il 10 sarebbe un tracollo. Il leader, che negli ultimi giorni ha battuto in ritirata dal Sud per concentrarsi su temi cari al tradizionale elettorato settentrionale (primo fra tutti l'autonomia), finirebbe sotto processo soprattutto dal "tribunale" del Nord, da iscritti e dirigenti di più o meno antica militanza pronti a rimproverargli un dato addirittura inferiore a quello del miglior Bossi, che nel 1996 - con un bacino di voti concentrato su sole quattro regioni - riuscì a prendere il 10,4 per cento.
OSCAR DE PELLEGRIN LUCA ZAIA MATTEO SALVINI
A quel punto ciò che si attenderebbero gli esponenti dell'ala moderata (a partire da Luca Zaia e Massimiliano Fedriga) sarebbero le dimissioni da parte di Salvini o più facilmente l'annuncio della convocazione di un congresso. In caso contrario, si apprende, il congresso sarebbe chiesto dai territori.
Al segretario viene rimproverata una linea ondivaga, non concordata con il consiglio federale, e nello specifico alcune prese di posizioni autonome: come il dichiarato pentimento rispetto al sì fornito dalla Lega alle restrizioni anti-Covid. «Ma con chi ne ha parlato?», dice un autorevole esponente leghista. Sono pronti a riaffiorare antichi malesseri, solo in parte sedati al momento della composizione delle liste.
salvini meloni piazza del popolo
Le perplessità sull'azione di Salvini dalle misure anti-Covid (con le strizzatine d'occhio ai No Vax) si sono spostate alla "politica estera" del numero uno della Lega: a marzo la figuraccia rimediata con il sindaco di Przemysl che gli ha mostrato a mo' di sfottò la maglia di Putin, poi il fallito blitz a Mosca non concordato con il governo (e neppure con il partito), fino all'ultima retromarcia: «Su Putin ho cambiato idea», ha detto il senatore milanese.
In questo clima, al Capitano con i galloni sbiaditi non basterebbe il riconoscimento dell'enorme mole di lavoro quotidiano su e giù per l'Italia per attenuare gli effetti di una performance negativa della Lega. E si avvierebbe un chiarimento interno che potrebbe portare a un Carroccio "desalvinizzato".
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E qui l'obiettivo si salda con quello di Fratelli d'Italia, destinato a diventare prima forza della coalizione, che crede sia più presentabile come alleata una Lega guidata da Zaia o Fedriga. Giorgia Meloni ha soprattutto un problema: spiegare a Salvini che dovrà rinunciare ai suoi desiderata e non potrà fare il ministro dell'Interno. Difficilmente il capo dello Stato Sergio Mattarella, è il ragionamento, affiderebbe l'incarico a un esponente politico sotto processo per sequestro di persona nel caso Open Arms.
Ma il problema sarebbe di più facile soluzione con un Salvini depotenziato dal risultato elettorale o comunque sub iudice nel suo partito in attesa di un congresso. «Se la Lega va sotto il 10 cambia tutto negli equilibri interni e difficilmente potrà accampare grandi pretese», è la tesi esposta da uno dei collaboratori di Meloni. A patto, è chiaro, che nel frattempo Fdi arrivi quasi a triplicare il risultato salviniano.
salvini meloni berlusconi piazza del popolo 2
Non sono mancati i contatti, negli ultimi tempi, fra lo stato maggiore di Fratelli d'Italia e i governatori leghisti Zaia e Fedriga, peraltro sospettati da via Bellerio di avere contribuito poco alla campagna elettorale (dopo non aver partecipato alla formazione delle liste). Due settimane fa, ad esempio, Guido Crosetto - uno dei fondatori del partito di Meloni - è stato in Veneto, ha avuto una cena con alcuni imprenditori, e ha avuto modo di parlare con Zaia.
Viene smentito che si sia affrontato il tema del futuro della Lega. Ma è solo uno dei tanti indizi: circola con forza il sospetto di un'intesa anti- Salvini fra i meloniani e una parte del Carroccio, di trame intessute ancor prima che si aprano le urne. In palio, oggi, c'è il destino del segretario, ma anche la fisionomia di un eventuale governo del centrodestra.