Marcello Sorgi per “La Stampa”
mario draghi sergio mattarella
Approvato ieri sera in Consiglio dei ministri, il prolungamento dello stato d'emergenza al 31 marzo 2022, che il governo sembrava in un primo momento aver escluso, preparandosi a spostare sulla Protezione civile e su un comando interforze la maggior parte degli impegni che adesso gravano sul commissario straordinario Figliuolo, porta con sé una conseguenza politica su cui tutti ieri sera si interrogavano, nell'attesa di conoscere il testo del provvedimento.
E cioè l'uscita di scena di Draghi come candidato al Quirinale e la conferma che il suo ruolo di guida a Palazzo Chigi è indispensabile, specie nell'attuale, nuovamente incerta fase della lotta al virus - descritta nella sua gravità senza mezzi termini dal ministro Speranza -, che si intreccia con l'avvio del Pnrr.
ROBERTO SPERANZA MARIO DRAGHI FRANCESCO PAOLO FIGLIUOLO
È abbastanza chiaro infatti che il presidente del consiglio che si rivolge al Parlamento per allungare un periodo eccezionale, con tutte le conseguenze che comporta sotto il profilo istituzionale, non possa certo sganciarsi dopo un mese o poco più per dedicarsi a un altro incarico, provocando una crisi di governo nel momento meno adatto.
Ma Draghi non accetta la tesi della rinuncia per il bene del Paese. E a chi glielo chiede risponde che questa storia della sua candidatura al Colle non è farina del suo sacco ed è frutto della confusa vigilia delle votazioni di gennaio per eleggere il successore di Mattarella.
Un percorso in cui da settimane i leader dei partiti, invece di favorire il necessario confronto per arrivare a una scelta condivisa, tirano fuori nomi usati e smentiti senza costrutto e talvolta anche senza logica.
Fatto sta che nel giro di due settimane, prima con il "no" ribadito da Mattarella a un bis che alcuni, soprattutto nel suo ex partito, davano per scontato, poi con la proroga dello stato d'emergenza che magari non esclude del tutto, ma rende molto più difficile l'ipotesi Draghi, sono venute meno le due principali candidature, che venivano considerate come una rete di sicurezza per la stabilità del Paese in un momento in cui ne ha davvero bisogno. Adesso, come nel Monopoli, si torna al punto di partenza. E il guaio è che questo non è affatto un gioco.
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