1 - ALTRO SCHIAFFO DI BATTISTI ALL' ITALIA «INNOCENTE, NON CI FU VIOLENZA»
Andrea Cuomo per il Giornale
A volte viene voglia di pensare che perfino la lotta armata e il dolore e le assenze eterne da essa cagionate siano colpa meno grave di questa piccineria da film di Alberto Sordi che Cesare Battisti pensa di doverci ancora ammannire, senza strapparci un sorriso. Di queste amnesie, di queste bugiuole mille volte smentite, di queste contraddizioni, di questi pentimenti a spizzichi e bocconi. E che Battisti in questa eterna fuga da bestiola furba non sia degno nemmeno della grandezza della sua rabbia giovanile, per quanto orribile.
CESARE BATTISTI CHE BRINDA PRIMA DI TORNARE A SAN PAOLO 2
Intervistato dal Gr1 dopo il rinvio di una settimana della decisione dell' Alta Corte brasiliana sulla sua possibile estradizione, il leader del Proletari Armati per il Comunismo condannato in contumacia all' ergastolo per quattro omicidi, due commessi materialmente, due in concorso con altri, esibisce una resipiscenza poco convinta sulla sua militanza armata di quarant' anni fa: «Come si può essere soddisfatti o fieri di tanta violenza, di tanti omicidi, di tanto sangue, da una parte come dall' altra? La lotta armata è stata un suicidio, non poteva dare risultati per nessuno. E anche indirettamente ho partecipato a idee che hanno portato a una follia, a una via senza uscita».
Poi però arrivano puntuali i distinguo: «Fortunatamente sono uscito prima che iniziassero gli omicidi nel mio gruppo», precisa Battisti, che porta anche un testimone, il figlio di una sua vittima, Alberto Torregiani, finito su una sedia a rotelle nel corso dell' operazione con cui un commando del Pac ammazzò il padre, il gioielliere Pierluigi, il 16 febbraio 1979 a Milano: «Io ho una relazione con Alberto Torregiani - si vanta Battisti -. Ci siamo scritti negli anni, l' ho aiutato a scrivere un libro. Io ho lettere di Alberto in cui mi dice testualmente che non ha nessun dubbio sul fatto che io non ho niente a che vedere con la morte del padre».
Un autogol, quello di Battisti.
Perché Torregiani, chiamato in causa, a fare il cornuto e mazziato non ci sta: «Se Cesare Battisti ha le prove della sua innocenza, basta solo che lui le presenti al Tribunale brasiliano, alla Corte Federale o ai nostri giudici o anche in televisione, ai media. Le opzioni le ha. Non vedo perché non le usa invece di rompere alle famiglie delle vittime».
Quanto all' agguato in cui rimase ucciso il padre, Torregiani riconosce che Battisti non fu l' autore materiale dell' attentato, ma «ha le sue responsabilità». «Conosco sia i nomi che i cognomi dei responsabili e ho visto uno di loro in faccia - dice Torregiani -. Questo però non preclude le sue responsabilità come ideatore e responsabile morale dell' attentato». Circostanza riconosciuta anche dai giudici, che per questo hanno condannato Battisti con sentenza passata in giudicato a 13 anni e 5 mesi, pena poi confluita nell' ergastolo.
«Battisti racconta solo balle. Si attacca a tutte queste cose per cercare di spostare l' attenzione, teme l' estradizione e sa che questa volta può succedere».
Il resto del teatrino di Battisti è lo solita pappa di autocommiserazione («si stanno inventando un personaggio che non esiste»), finta nostalgia («l' Italia certo che mi manca, sono quarant' anni, ma potrei tornare come turista, ormai non conosco più nessuno»), pietismo in offerta speciale («certo che ho compassione per le vittime. Io ho 62 anni, ho moglie e figli, ho nipoti, già sono nonno»), complottismo («qualcuno ha voluto portarmi alla frontiera con la Bolivia, è stata una trappola.
Era tutto organizzato. Io qui in Brasile sono accettato, tutti mi vogliono bene») e la consueta protervia («nel plenario dell' Alta Corte brasiliana ci sono diverse voci, molte delle quali sono a mio favore»). Un mix di atteggiamenti passivo-aggressivi tipici di chi proprio non pensa di dover pagare alcunché per le sue azioni e i suoi pensieri assassini.
2 - E TRA I PROCESSI AL LEADER DEI PAC SPUNTA UN «SEQUESTRO SESSUALE» - NEL 1974 VENNE DENUNCIATO PER RAPIMENTO «A FINI DI LIBIDINE»
Luca Fazzo per Il Giornale
Il Brasile «progressista» non sta proteggendo solo un sadico che dopo avere ammazzato andava a vantarsi con le ragazza dell' odore del sangue: ma anche un pervertito, un maniaco sessuale. È un dettaglio che emerge inequivocabile dalle carte dei processi che all' inizio degli anni Ottanta vennero celebrati a Milano a carico di Cesare Battisti per le sanguinose imprese compiute come capo dei Proletari Armati per il Comunismo, e che aiuta a inquadrarne e a definirne meglio la complessa personalità.
Il documento, insieme a numerosi atti a carico di Battisti, è conservato nel faldone 2 degli atti del processo ai Pac, conservati e digitalizzati nell' archivio del tribunale di Milano. Non è datato, la firma è dell' appuntato dei carabinieri che comandava la stazione di Cisterna di Latina, dove Battisti è nato nel 1954.
Nella «nota informativa sul catturando», l' appuntato elenca con scrupolo i precedenti penali del capo dei Pac. E in mezzo ai furti, alle rapine, agli atti di violenza che costituiscono il curriculum del delinquente comune Battisti, ecco il delitto inatteso: il 25 ottobre 1974, quando aveva vent' anni, Battisti venne denunciato alla Pretura di Sezze Romano «perché responsabile con altri di sottrazione di persona incapace a fini di libidine». Non c' è il nome della vittima, non c' è la storia, ma le poche righe sono esplicite. Chissà se il presidente Lula lo sapeva, quando scelse di proteggere Battisti come rifugiato politico.
È una lettura faticosa ma appassionante, quella delle decine di faldoni a carico dei Pac. Dentro c' è il lavoro che due giudici istruttori, Piero Forno e Giuliano Turone, compirono sui crimini della banda a partire dall' omicidio dell' orefice Pierluigi Torregiani. E basta leggere le carte per rendersi conto di quanto solide fossero le prove a carico di Battisti per tutti gli omicidi che gli venivano contestati.
A partire dal documento chiave, il lungo interrogatorio nella caserma dei carabinieri di via Moscova di Pietro Mutti, uno dei militanti dei Pac arrestati dopo l' omicidio Torregiani. Davanti a Forno e ai pm Corrado Carnevali e Armando Spataro, Mutti spiega la sua decisione di collaborare, nata dopo l' uccisione a sangue freddo di un carabiniere a Siena: «Mi sono reso conto che la lotta armata non è mai riuscita a cambiare nulla e anzi ha ristretto gli spazi di libertà di ciascuno».
Mutti racconta la nascita dei Pac come evoluzione del gruppetto di autonomi che pubblicava il giornale Senza Galere.
«Agli inizi del 1978 - dichiara - nel nostro gruppo entrarono Masala Sebastiano, Migliorati Enrica e Battisti Cesare (...). Il Battisti si era politicizzato in carcere (…) successivamente alla sua scarcerazione il Battisti effettuò un' altra rapina, credo sempre nella zona di Latina, e per questo fatto venne colpito da un nuovo provvedimento restrittivo e si diede alla latitanza trasferendosi a Milano, ove io lo conobbi».
CESARE BATTISTI BRINDISI PRIMA DI TORNARE A SAN PAOLO
Mutti racconta come all' interno dei Pac Battisti fosse da subito tra i sostenitori delle azioni più violente, a partire dal primo agguato, la gambizzazione del medico del carcere di Novara Giorgio Rossanigo: «La decisione di compiere l' azione venne decisa alcuni giorni prima del ferimento da tutti i componenti del gruppo e cioè da me, Masala, Migliorati, Bergamin, Lavazza e Battisti». Ancora più diretto il ruolo di Battisti nel secondo attentato, il ferimento di un medico dell' Inam di Porta Ticinese accusato di «particolare severità» nelle visite di controllo:
«I sopralluoghi nei giorni precedenti il ferimento vennero effettuati dal Battisti che si assunse la responsabilità organizzativa dell' azione (...) successivamente ebbi un incontro con il Lavazza e il Battisti i quali mi comunicarono di aver personalmente partecipato al ferimento; che avrebbe dovuto sparare il Lavazza e che l' arma dopo il primo colpo si inceppò obbligando il Battisti a intervenire con la propria pistola sparando a sua volta uno o due colpi contro la vittima». Dieci mesi dopo, i Pac fanno il salto di qualità uccidendo a Milano Torregiani e a Mestre il macellaio Lino Sabbadin.
CESARE BATTISTI A RIO DE JANEIRO
«Battisti mi disse che l' omicidio Sabbadin era stato compiuto in concomitanza con quello Torregiani per evidenziarne l' identità di motivazione e aumentarne la risonanza. Disse anche che l' omicidio Sababdin era stato da lui organizzato avvalendosi dei rapporti che aveva in Veneto (...) parlando, se ben ricordo, in prima persona disse che entrarono in due nel negozio del Sabbadin con il viso travisato da barbe finte.
Uno dei due chiese con modi cortesi chi fosse il sig. Sabbadin titolare del negozio. Alla risposta affermativa del Sabbadin la persona che gli si era rivolta gli esplose contro alcuni colpi di pistola».