Fabio Cavalera per “il Corriere della Sera”
Prima ancora di mettere piede nella Casa Bianca, Donald Trump riesce a scombussolare i delicati equilibri diplomatici di quello che dovrebbe essere il suo alleato più prezioso in Europa. Senza guardare in faccia nessuno e senza consultare nessuno il neoeletto presidente ha nominato «in pectore» Nigel Farage ambasciatore britannico a Washington.
Non avendone i poteri ha scelto, come nel suo costume, la via della «provocazione», un cinguettio su Twitter, per promuovere sul campo il leader dello Ukip e della Brexit. Cosa che ha lasciato Downing Street di sasso e il Foreign Office di Boris Johnson più che spiazzato, quasi tramortito.
Quando mai un governo, e per di più il governo di sua maestà, viene saltato a piedi pari e per certi versi ridicolizzato? Proprio il governo che alza la bandiera della piena sovranità nazionale per uscire dall' Europa? Incidente, gaffe, precipitazione, consiglio. Sia quel che sia per Londra è un'umiliazione anche perché un ambasciatore già c'è.
Il contenuto è inusuale. La forma pure. Ma forse è un avvertimento e ci dovremo abituare. Farage ha partecipato in prima persona alla campagna elettorale americana, da star. E l'amico presidente ora lo ripaga. Con un tweet rilanciato quando ancora gli uffici del ministero degli esteri londinesi sono chiusi. Scrive.
«A molta gente piacerebbe che Nigel Farage rappresentasse la Gran Bretagna come ambasciatore negli Stati Uniti. Farebbe un grande lavoro». Fulmine a ciel sereno per Farage, per sua ammissione: «Non ne avevo la più pallida idea. Uno shock. Se posso aiutare il Regno Unito in qualche modo sono pronto a farlo». Altro che. Praticamente diverrebbe l'interlocutore privilegiato dello stesso Trump e sia Theresa May sia il campione silurato della Brexit, Boris Johnson, non avrebbero che da ritirarsi. Esautorati.
Ovvio che una procedura simile è fuori dalle regole. Ed è ovvio che Londra non abbia intenzione di inchinarsi. Non siamo a una formale crisi di rapporti ma la sberla è arrivata. Downing Street è «costernata», suggeriscono i circoli diplomatici. E ancora di più lo è Boris Johnson che regge il comando delle rappresentanze all' estero. La risposta che danno è semplice: «Non c'è alcun vuoto. Abbiamo un ambasciatore eccellente negli Usa, Kim Darroch, e resterà per molti anni». Qualcuno, negli ambienti governativi, aveva criticato nei giorni scorsi proprio Darroch per non avere previsto la vittoria di Trump.
Ma accettare ora il diktat del neo presidente significherebbe alzare le mani in segno di resa. Oltretutto, è emerso che Trump avrebbe usato un incontro con Farage per incoraggiare l'Ukip a opporsi alla costruzione in progetto di pale eoliche al largo dei suoi campi da golf in Scozia, in quanto rovinerebbero la vista: episodio che ha sollevato accuse di conflitto di interessi.
La sortita di Trump è un campanello di allarme. Alla vigilia delle elezioni americane erano stati registrati accenti molto critici verso il candidato repubblicano sia da parte di Johnson sia da parte di May. Il primo aveva catalogato come «pazzie» le posizioni del candidato sui musulmani. La seconda, a poche ore dal voto, si era espressa a favore di una «politica meno urlata e meno aggressiva».
Posizioni che non sono passate inosservate nel clan Trump. Londra si trova nella posizione di dovere risalire la china e ricucire. E' vero che May e Trump hanno già avuto un colloquio telefonico con tanto di invito a Washington per la premier. Ed è vero che la regina Elisabetta ha spalancato i cancelli di Buckingham Palace. Però suggerire la nomina di Farage suona come un poco ordinario sconfinamento in territorio amico, inaspettato nei tempi e nei modi.
C'è la Brexit davanti e nel governo britannico si scontrano le posizioni dei favorevoli all'uscita dura («hard»), fuori subito dal mercato unico e dalle libere frontiere, e dei favorevoli a una transizione morbida («soft»), dentro il mercato unico e trattativa sul resto. Trump promuove Farage, che è il più severo degli antieuropeisti, e soffia sul collo di May e Johnson. Londra è in mezzo al guado e ancora non sa come e dove uscirne. Sarà stata solo una provocazione o solo un segnale di riconoscimento per il leader Ukip, ma il tweet di Trump è una dolorosa stilettata per Downing Street e per il Foreign Office che non l' avevano messa in conto.