Maria Giovanna Maglie per Dagospia
In Europa impazza il giallo dell'accordo di Parigi, che Donald Trump scioglierà questa sera alle 21:00 ora italiana, mantenendo fino all'ultimo la giusta suspence, lascio non lascio, un gesto il secondo che il Vaticano ha già mandato a definire schiaffo in faccia, come se un’ enciclica di Bergoglio dovesse essere verbo divino del politically correct; la Merkel un abbandono definitivo del legame con l'Europa, come se le alleanze si facessero su un accordo del tutto teorico sul clima, e non per esempio sulla difesa, che per essere garantita andrebbe pagata.
Ma the big story, la storiona, in America è un'altra, e come twitta sardonico il presidente, potrebbe smascherare personaggi importanti dell'amministrazione Obama, perché a forza di tirare la corda si può finire impiccati. Un mandato di comparizione non si nega a nessuno nella Washington un po' impazzita del 2017 , ma se gli ultimi emessi riguardano i dirigenti delle principali agenzie dei servizi e di investigazione, su esponenti di primo piano dell'amministrazione Obama, forse l'affare sta cominciando a cambiare piega.
Persona di interesse, ovvero che potrebbe avere informazioni su un'inchiesta, può essere chiunque nella Washington un po' impazzita del 2017, ma se ora tocca perfino al leader inglese antieuropeista Nigel Farage essere considerato parte di un intrigo tra Wikileaks Trump e la Russia, forse è il momento che qualcuno dica basta. Farage se la ride via Twitter, Putin sembra non poterne più e sbotta contro la Russiafobia in un'intervista ad agenzie di stampa internazionali.
Difficile dargli torto, sembrano gli anni 50, solo che quelli erano gli anni 50, e nemmeno allora, nonostante la robusta presenza di un partito dipendente dai sovietici, come il Partito comunista italiano, il New York Times avrebbe scritto un articolo sull'Italia in svendita alla Russia come quello di un paio di giorni fa. Per tutti potrebbe valere la regola aurea di Carlo Verdone “cambia spacciatore”.
Intanto Fox News conferma che FBI, CIA, National Security Agency, hanno ricevuto mandati di comparizione emessi dalla Commissione intelligence della Camera dei Deputati. Si riferiscono a una certa pratica di richiedere nomi di persone che avrebbero dovuto restare riservate che poi sono state fornite a giornali, e riguardano preminenti personalità della passata amministrazione Obama.
susan rice obama hillary clinton
La cosa stride particolarmente perché nel 2014 il presidente Obama diede grande pubblicità a una serie di misure intese a preservare la privacy dei cittadini finiti nei rapporti delle agenzie. Il quale Obama, notizia di servizio per i nostalgici che volessero sapere dove andare a fargli visita, ha appena comprato per 8 milioni di dollari una casa a Washington, quindi, a differenza della tradizione degli ex presidenti, non schioda.
Questi I nomi. Susan Rice, già consigliere per la Sicurezza Nazionale, è stata già identificata come persona che ha richiesto durante la fase di transizione, quindi quando già era Trump il presidente, i nomi dei collaboratori di Trump che apparivano sotto codice in rapporti riservati per presunti incontri, telefonate, relazioni varie con esponenti del governo russo o della finanza di quel Paese.
obama, susan rice e samantha power
Segue l'ex direttore della CIA, John Brennan e l'ex ambasciatore alle Nazioni Unite, Samantha Power. Sarà divertente ascoltare come verranno giustificate le informazioni date all'ambasciatore alle Nazioni Unite, ovvero una che fa il diplomatico, che a differenza del capo della CIA o del consigliere per la sicurezza nazionale, non potrà neanche prendere a pretesto esigenze di protezione della nazione.
Sarà anche divertente sapere quali sono i nomi forniti, quante volte sono stati chiesti, e quanto tempo ci hanno messo giornali come il Washington Post e New York Times, tv come la Cnn, ad avere quei nomi in bella copia in redazione.
Tradotta in soldoni, la storia rischia di sembrare semplice. Per sostenere la teoria di relazione impropria tra lo staff di Trump e la Russia di Putin, per dare corpo al complotto che avrebbe falsato il risultato delle elezioni l'8 novembre 2016, insomma per insinuare negli americani il dubbio che Wikileaks, Assange, Putin e Trump si siano comprati il paese con il loro voto, tre importanti personaggi dell'amministrazione, che è difficile credere che abbiano agito senza l'assenso del loro presidente, hanno chiesto e ottenuto di forzare leggi e regolamenti, rendendo noti nomi che avrebbero dovuto restare coperti dalla riservatezza, perché queste sono le regole che proteggono i cittadini americani, e hanno ottenuto dei nomi che hanno poi passato ai giornalisti.
Sui quali giornalisti, a quanto si apprende, l'amministrazione Trump avrebbe ottenuto autorizzazione a controlli e intercettazioni, proprio per scoprire la fonte dei leaks, delle spiate, che sono continuate anche dopo il passaggio dei poteri, a dimostrazione che qualcuno della vecchia guardia, che era rimasto a lavorare alla Casa Bianca o al Dipartimento di Stato o a quello di Giustizia, ha proseguito nello sporco lavoro di fornire informazioni.
Complotto, complotto, come peraltro senza il minimo pudore continua a sostenere anche Hillary Clinton tornata fuori dal bosco, attribuendo solo a queste ingerenze e almeno fino a ieri, fino a che non è diventato un altro utile pupazzo da usare contro Trump, alle iniziative a lei ostili dell'ex direttore dell'Fbi James Comey, la sua sconfitta.
Big story, ha ragione Donald Trump. Se andrà a finire che gli accusatori diventano accusati sarà difficile per loro non incolpare se stessi perché probabilmente niente di tutto ciò sarebbe mai venuto fuori se non fosse partito un continuo e pressante – anche a costo di illegalità – tentativo di delegittimazione del voto e del quarantacinquesimo presidente.
Molti altarini vengono fuori. Per esempio una settimana fa la Foreign Intelligence Surveillance Court ha bruscamente messo sotto accusa la National Security Agency per “institutional lack of candor”, un comportamento fraudolento.
Praticamente la Corte ha spiegato che gli uomini di Obama avevano spesso violato le protezioni fornite dalla privacy americana ai cittadini, occupandosi di intelligence internazionale, e che non ne avevano mai fatto parola fino agli ultimi giorni dell'Amministrazione. Lo hanno fatto solo il 26 ottobre del 2016 informando la Corte che gli analisti della NSA hanno condotto indagini nelle quali hanno identificato cittadini americani in violazione delle leggi con una frequenza molto maggiore di quella prima rivelata.
Perché si sono decisi a parlare? Perché entro la fine di quest'anno il Congresso dovrà autorizzare programmi come quello che consente di spiare i sospettati di terrorismo, la cosiddetta section 702 della legge di Foreign Intelligence Surveillance, e se oltre che i cattivoni spii gli oppositori politici, forse sei fuori dalla legge. Motivo per un altro Nobel?