AMERICA FATTA A MAGLIE - “PRESIDENZA SOTTO ASSEDIO, TITOLA DRUDGE REPORT, E L'ATMOSFERA DI GUERRA SI PERCEPISCE, D'ALTRA PARTE È STATO SEMPRE COSÌ DA QUANDO DONALD TRUMP HA VINTO LE ELEZIONI. DICIAMO CHE CONTIAMO TRE GUERRE COLLEGABILI MA DIVERSE FRA DI LORO: LA GUERRA INTERNA CON ZUCKERBERG, PER LA PRIMA VOLTA IN DIFFICOLTÀ, LA GUERRA ESTERNA IN SIRIA E INFINE C'È LA GUERRA DELLE PUTTANE”

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Maria Giovanna Maglie per Dagospia

 

MARIA GIOVANNA MAGLIE MARIA GIOVANNA MAGLIE

Presidenza sotto assedio, titola Drudge report, e l'atmosfera di guerra si percepisce, d'altra parte è stato sempre così da quando Donald Trump ha vinto le elezioni. Diciamo che contiamo tre guerre collegabili ma diverse fra di loro: la guerra interna, che ieri è stata rappresentata a capitol Hill  dall'arrivo della felpetta miliardaria Mark Zuckerberg, per la prima volta in difficoltà nei suoi 33 anni di vita, ammesso che non lo fosse per via dell' imperdonabile cravatta viola,e che e’ stato grilled, rosolato, soprattutto da senatori democratici a caccia di ragioni per la loro clamorosa sconfitta.

 

UDIENZA DI ZUCKERBERG AL SENATO UDIENZA DI ZUCKERBERG AL SENATO

La guerra esterna e’ la seconda, sulla carta e nella carne è la più grave, si sposta su Damasco dalle Nazioni Unite, riguarda un dittatore che come tutti i dittatori non ha nessuno scrupolo  a usare armi letali contro il proprio popolo,  che andrebbe punito assieme ai suoi complici in Iran, ma ricordando che il primo colpevole della situazione, altro che Putin, è stato alla Casa Bianca come presidente fino a un anno e mezzo fa.

 

Infine c'è la guerra delle Puttane, laddove non si intende solamente la simpatica Stormy che fa la sua parte alla grande fingendosi offesa da una scopata di molti anni fa, retribuita come poche, ma anche tutto quello straordinario contorno che ormai va sotto il nome celebrato di Deep State, composto da burocrati, tecnocrati, funzionari di polizia, agenti segreti, amichetti e amichette dei politici, nullafacenti con scrivania a Washington, tutta gente convinta di essere lì per dettare le regole del gioco, costi quel che costi, piazzati alla grande negli anni di Obama, pronti a fare il bis con Hillary Clinton, molto seccati dall'arrivo dell'estraneo.

 

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Puttane pronte a tutto Vediamo com'è andata la guerra numero uno, quella con la felpetta che forse penso’ di farsi un giorno re, ovvero presidente degli Stati Uniti, e qualche bastonata la sta prendendo. Nella vignetta di Altan il maschio della solita coppia, che poi è il coglione tra i due, lamenta che “mi hanno rubato il profilo su Facebook”, lei al solito lo liquida con brutale buon senso “e che cazzo se ne fanno?”. Definitivo.

 

Sarebbe definitivo anche dell'intera vicenda che ieri ha portato il CEO di Facebook davanti alle commissioni Commercio e Giustizia del Senato, non fosse che invece siamo obbligati a fingere che si tratti di un pericolo terribile, tale da inficiare risultati elettorali e plagiare menti e comportamenti; come se non fosse vero che comunque  e dovunque, dagli Stati alle banche a qualunque realtà che si muove on-line off-line, tutti collezionano informazioni su di noi che noi graziosamente e volontariamente forniamo. Fa schifo? È possibile, ma certo faceva schifo anche prima che Trump diventasse presidente degli Stati Uniti.

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È divertente che non bastino miliardi e un potere pressoché unico a non sentirsi tesi e nervosi all'arrivo al Senato degli Stati Uniti, sia pure senza vincolo di giuramento. Ore e ore di domande spesso inutili e di risposte spesso ripetitive e meramente formali. Può uno dei più recenti esempi di sogno americano, ovvero Facebook, trasformarsi nell'incubo della privacy? Che cosa voleva fare fornendo alla società Cambridge analytica

i dati di 87 milioni di utenti?

 

E cosa invece vogliono davvero i senatori americani da Zuckerberg e dagli altri potentoni di Silicon valley? Certamente cinque minuti a testa di palcoscenico nazionale, ma non solo. Umiliare lui come esempio? Imporre la prevalenza della politica anche in questa era? Fagli capire che le ambizioni di essere il prossimo presidente, semmai le avesse, devono passare sotto rischiose forche caudine? Lo spettacolo per un po' e’ interessante, dopo un po' annoia, anche perché parte con un fervorino di più di un'ora. Riassumo.

 

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 “Facebook è una compagnia ottimista e idealista. Per gran parte della nostra esistenza, ci siamo concentrati sul bene che si può portare connettendo le persone”. “Ma ora è chiaro che non abbiamo fatto abbastanza per impedire che questi strumenti venissero usati anche per fare danni. Ciò vale per fake news, per le interferenze straniere nelle elezioni e i discorsi di incitamento all'odio, così come per la privacy?”’.

 

“Non avevamo una visione abbastanza ampia della nostra responsabilità, e questo è stato un grosso errore. È stato un mio errore, e mi dispiace. Ho creato Facebook, lo gestisco e sono responsabile di ciò che vi accade”. Quando partono le domande dei 44 senatori delle due commissioni, bisogna pescare fra le inutili e quelle toste, ovvero l'influenza dei dati venduti sul voto, americano prima di tutto ma anche di altri Paesi. C'è persino l'Italia tra i concorrenti.

 

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Zuckerberg parla di elezioni in tutto il mondo, e sostiene che Facebook ha rimosso decine di migliaia di account prima che potessero portare un danno significativo al voto. Ci sono delle persone, accusa  a sua volta, che cercano di sfruttare questo e altri sistemi. Alla fine dell’anno, assicura, 20 mila persone  lavoreranno sulla prevenzione e sul controllo.

Parliamo del gran villano, la Russia, e, per la prima volta anche di“ Paesi vicini alla Russia”, I dati di Cambridge Analytica sono nelle loro mani? Chi può dirlo, è la risposta, molti vendono dati.

 

“Durante la campagna del 2016 Cambridge Analytica ha lavorato per Trump?” è l’altra domanda scottante “Non soltanto”, risponde Zuckerberg dopo aver chiesto che fosse ripetuta, ma la difficoltà non si capisce perché trattasi di storia nota, ovvero che

“ abbiamo sostenuto la campagna di Trump come gli altri candidati”. Neutrale? Sì, risponde lui, ma siamo responsabili per i contenuti.

 

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In sostanza, Mark Zuckerberg si assume l'intera responsabilità di quanto accaduto, attribuisce l'incidente di Cambridge analytica all'ingenuità di un'azienda nata in un garage di universitaria non molti anni fa, e cresciuta a dismisura, promette controlli severi per il futuro anche per quanto riguarda Troll, hackeraggi, intromissioni di carattere politico ed eversivo nella storia e nelle elezioni di nazioni democratiche.

 

Rivendica infine il contributo offerto alle campagne Clinton e Trump nel 2016 come del tutto legittimo; non è colpa di Facebook se i Trump hanno accettato in modo entusiastico e investito buona parte del denaro della campagna in social e invece i molto ricchi componenti della campagna Clinton hanno scelto gli strumenti tradizionali rivelatisi meno efficaci.

 

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È qui che scatta la dietrologia e Zuckerberg non può farci niente. Si incaricano di rappresentarla due senatori democratici, Maria Cantwell e Patrick Leahy. La ricostruzione è grottesca ma va fatta. A metà del 2016, a San Antonio, il Progetto Alamo guidato da Brad Parscale, braccio destro di Donald Trump sui social, gia’ reincaricato per il 2020, gestisce la raccolta di fondi su Facebook, Google, Twitter e YouTube. Gli elettori vengono individuati e bombardati di messaggi personalizzati grazie al data base della compagnia inglese Cambridge Analytica. In quegli uffici ci sono anche gli analisti di Google e Facebook che si sono messi a disposizione dei candidati naturalmente dietro compenso.

 

I due senatori domandano a Zuckerberg come mai non avessero intuito lui e i suoi collaboratori che c'era qualcosa di losco dietro questo sistema e metodo. Ovviamente lui non e’ nelle condizioni di fare Il prepotente o lo spiritoso, si trincera dietro i non so, non ricordo, ci penserò.

 

UDIENZA DI ZUCKERBERG AL SENATO UDIENZA DI ZUCKERBERG AL SENATO

Davvero ci vogliono complotto, malafede, per capire che l'online ha sconfitto i giornali? Che sui social si concentra ormai l'attenzione di un sacco di gente? Che stanno più su Facebook che davanti alla televisione, figuriamoci a guardare i cartelloni sulle autostrade? Che se qualcuno sa che abito in una zona vicino a una strada dissestata e piena di buche, e mi manda a dire che se lo voto le sistemerà, non c'è niente di diverso dalle consuete promesse elettorali?

 

Fine della guerra di Washington a Facebook, almeno della prima battaglia. Zuckerberg soffre, il titolo vola in Borsa. Vediamo che succede in Siria, e come va a finire con le Puttane.

 

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