F. Bat. per il “Corriere della Sera” - Estratti
Rieccolo. L’ultima volta che s’occupò del conflitto arabo-israeliano, quando venne inviato per otto anni dal Quartetto Onu-Usa-Ue-Russia, di sicuro non fu un successo: spese altissime, per lui e per il suo staff, e zero risultati.
Stavolta, Tony Blair ha scelto un profilo molto più basso. È entrato dalla Giordania e la scorsa settimana ha incontrato in silenzio il premier Bibi Netanyahu assieme al ministro della Difesa, Benny Gantz.
Nessun comunicato ufficiale, mai una dichiarazione, se non due righe per smentire che il suo incarico riguardi i profughi di Gaza e un loro futuro ricollocamento in Egitto e in altri Paesi. L’ex premier britannico, dicono fonti governative a Gerusalemme, s’è proposto da mediatore fra Bibi e i leader arabi moderati sauditi, emiratini e qatarini: è il «Piano Day After», una prima mappa di quel che potrà diventare Gaza quando (quando?) la guerra sarà finita.
(...) La fuga di notizie sull’arrivo ha però irritato l’interessato, spiegano, che non dimentica quante critiche feroci accompagnarono gli anni da inviato del Quartetto: l’ex leader laburista finì nel mirino per il faraonico stuolo di collaboratori che l’accompagnava, senza dire dell’incarico affidato alla moglie perché s’occupasse di dialogo col mondo femminile in Cisgiordania. Blair non ha mai smesso di seguire da vicino la questione:
«Lo dico spesso ai palestinesi — è la sua proposta —: dovreste imparare dall’accordo di pace che ha chiuso la guerra in Irlanda del Nord. Dovete cambiare strategia. E guardare al risultato». Un «Accordo del Venerdì Santo» modello Belfast, che porti a due stati per due popoli: quando Tony e Bibi ne han parlato, però, era già cominciato il sabato ebraico, e i due han promesso di rivedersi.
TONY BLAIR - BENJAMIN NETANYAHU TONY BLAIR - BENJAMIN NETANYAHU