Alessandro Trocino per il Corriere della Sera
Si riparte dal 40 per cento, scrive Luca Lotti, fedelissimo di Matteo Renzi. Riferimento al 40 per cento preso nel 2012, quando fu sconfitto alle primarie. Stessa cifra ottenuta dal Pd nel 2014, alle Europee. E domenica, nella sconfitta referendaria.
Ma il tentativo di Lotti di vedere il bicchiere mezzo pieno viene subito stroncato dalla minoranza e sarà uno dei tanti elementi di discussione della direzione Pd, slittata a domani alle 15. Insieme alla legge elettorale e al possibile congresso anticipato del Pd.
Si comincerà, probabilmente, dal ruolo di Matteo Renzi. Dimissionario da Palazzo Chigi, ma non (ancora, perlomeno) da segretario del partito.
La tentazione di lasciare è forte, magari per un periodo sabbatico per poi ripresentarsi alle primarie e al voto più avanti, ma è probabile che alla fine Renzi, pressato dai suoi, decida di rimanere. Anche la minoranza si affanna a spiegare che non ha intenzione di chiedere dimissioni: «Non le ho chieste da Palazzo Chigi - dice Roberto Speranza - figuriamoci se le chiedo da segretario». Pier Luigi Bersani chiede «stabilità» e una «correzione della linea politica»: «L' establishment viene dopo». Per le dimissioni, invece, l' ex lettiano Francesco Boccia: «Renzi dovrebbe farsi da parte, come Bersani nel 2013. E se decide di ricandidarsi, dovrà farlo come ognuno di noi da semplice iscritto».
Quanto al 40 per cento, Nico Stumpo non condivide lo slancio di Lotti: «Quella cifra è un disastro. Si può parlare di questo in direzione o è lesa maestà?». Non ci sarà, alla direzione, Massimo D' Alema. Concluso il lavoro, «torno a Bruxelles».
Non prima di essersi tolto qualche altro sassolino dalle scarpe: «È folle chi dice che ripartiamo dal 30 per cento». E ancora, allusione a Forza Italia: «Il Pd dovrebbe essere l' erede dell' Ulivo e invece lo è di altri partiti». Tra i temi in direzione, la legge elettorale: «L' Italicum sarà certamente cambiato», assicura il bersaniano Davide Zoggia.