Ettore Livini per “la Repubblica”
Fmi contro Europa. Wolfgang Schaeuble contro Jeroen Dijseelbloem. L’interminabile crisi della Grecia non dovrà fare i conti solo con le potenziali divisioni tra falchi e colombe nelle file di Syriza. Il tempo passa, la soluzione non si trova e anche il fronte dei creditori — un po’ a sorpresa — sta iniziando a sfarinarsi. I primi segni di insofferenza sono arrivati da Washington in occasione dell’Eurogruppo di Riga.
E a scoprire le carte è stato Poul Thomsen, ex capo della Troika ad Atene e oggi uomo forte di Christine Lagarde al tavolo dei negoziati: «Bisogna metterci il cuore in pace, il debito di Atene non è sostenibile — è stato il senso del suo discorso in quell’occasione — Meglio quindi affrontare subito questo tema per trovare una soluzione definitiva ai problemi del paese ed evitarne il default».
Thomsen ha detto né più né meno di quanto è chiaro a tutti gli operatori di mercato: i 318 miliardi di esposizione di Atene, il 175% del Pil, non potranno mai essere rimborsati. Meglio ristrutturare questa cifra ora — allungando le scadenze, abbassando i tassi e magari sforbiciando pure il capitale — piuttosto che ritrovarsi con il problema aggravato tra pochi mesi. Un errore già fatto nel 2010 quando si è ritardato di due anni l’intervento per salvare le banche del Vecchio continente.
La verità, però, non sempre fa piacere. E l’affondo dell’Fmi ha rotto il fronte del Brussels Group. Il taglio al debito della Grecia è un argomento tabù non solo a Berlino ma in tutti i paesi del nord. «Un secondo dopo ci ritroveremmo le delegazioni di Italia e Francia a Bruxelles a chiedere lo stesso trattamento», racconta uno degli sherpa presente ai negoziati. E la linea del rinvio ha prevalso.
Meglio firmare prima un primo accordo monco con il governo Tsipras, farlo votare nei Parlamenti per pensare poi dopo a cosa fare per intervenire su questo tema caldissimo. Una tattica dilatoria che il Fondo non ha digerito, tanto che nelle ultime ore si sono moltiplicate le voci su un suo possibile disimpegno dal terzo salvataggio di Atene.
Vale a dire l’ennesimo piano di prestiti — le indiscrezioni parlano di altri 30-40 miliardi — che potrebbe essere necessario per rilanciare la Grecia. I nodi, insomma, stanno arrivando al pettine. E nelle ultime ore hanno incrinato anche il granitico fronte dei falchi, mettendo l’uno contro l’altro il presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem e Wolfgang Schaeuble, l’implacabile ministro delle finanze di Berlino. Pietra della discordia, ovviamente, quando e come riprendere a finanziare Atene.
«Non è detto che aspetteremo la firma finale dell’intesa e l’implementazione di tutte le leggi concordate — ha detto dialogante il politico olandese — Se il Governo Tsipras inizierà a dare il via libera alle riforme più importanti, potremmo iniziare a pagare a rate l’ultima tranche di prestiti». Un tesoretto da 7,2 miliardi di cui il Partenone ha assoluta necessità per rispettare le scadenze sul debito di luglio e agosto. Apriti cielo! A censurare l’apertura di Dijsselbloem è piombato in poche ore Schaeuble.
«Si tratta di un ipotesi di cui non si è discusso all’Eurogruppo — ha detto gelido — . E comunque la Germania potrebbe non essere d’accordo». Punture di spillo? Rotture reali? Più probabilmente incomprensioni figlie di un po’ di tensione in un negoziato estenuante arrivato ormai alle battute finale senza una vera soluzione in vista. Mal comune, del resto, mezzo gaudio.
Se l’ex Troika litiga, anche in Grecia non va tutto a tarallucci e vino. Tsipras sarà costretto con ogni probabilità a fare importanti concessioni in cambio di nuovi prestiti. E la sinistra radicale di Syriza, che da mesi affila le armi, lo aspetta al varco. Le prossime settimane saranno decisive per il destino della Grecia e forse dell’euro. E a decidere l’esito finale della partita, più che la compattezza delle squadre in campo, potrebbero essere alla fine le loro divisioni.