Maurizio Belpietro per “la Verità”
Sono andato a rivedermi una vecchia puntata di DiMartedì, il programma di Giovanni Floris in onda su La 7. Nel talk show di prima serata, il 28 febbraio dello scorso anno, Luigi Di Maio si presentò accompagnato da quattro aspiranti ministri. Uno era Pasquale Tridico, attuale presidente dell' Inps, un altro era Lorenzo Fioramonti, oggi ministro dell' Istruzione. Poi c' era Alessandra Pesce, sottosegretaria alle politiche agricole, e infine tra i quattro spuntò il professor Giuseppe Conte, docente all' università di Firenze e candidato a guidare la Funzione pubblica.
GUIDO ALPA E GIUSEPPE CONTE DIVIDEVANO LO STUDIO
Il futuro capo del governo non disse grandi cose, se non di essersi avvicinato ai 5 Stelle da quattro anni, e di voler mettere al servizio del Paese la propria competenza giuridica. Tuttavia, mentre a febbraio Giuseppe Conte si diceva pronto a servire l' Italia, a maggio serviva anche un signore di nome Raffaele Mincione, ossia un finanziere impegnato in una battaglia piuttosto complicata per il controllo di Banca Carige, il principale istituto di credito della Liguria. Un servizio che, guarda caso, coincide proprio con la sua ascesa politica.
Oggi, nella vicenda in cui spuntano il Vaticano e un oscuro affare milionario nella City di Londra, il premier nega di conoscere il finanziere, anche se - come vedremo - mentre stava per conquistare Palazzo Chigi firmò per lui un parere pro veritate. All' epoca del suo insediamento ai vertici della Repubblica, a denunciare il conflitto di interessi di un presidente del Consiglio al servizio di un banchiere furono proprio gli attuali alleati di Giuseppe Conte, ossia i parlamentari del Pd.
maurizio belpietro intervistato
Quando infatti il Consiglio dei ministri approvò in fretta e furia un decreto che introduceva misure urgenti per salvare Carige, i compagni si scatenarono. Il decreto, approvato su proposta del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, fu preso di mira da Luigi Marattin, attuale capogruppo di Italia viva, il quale chiese se il premier si fosse astenuto, essendo noti i suoi rapporti «tramite il suo socio Alpa, consigliere di Carige» con la banca, e per essere stato «consulente di Mincione».
Alessia Morani, altra deputata dem, pose la stessa domanda sottolineando che «Conte è stato consulente di Raffaele Mincione, banchiere socio di Carige». E Simona Malpezzi, pasdaran renziana, rincarò parlando di «strane coincidenze» e di «conflitto d' interessi». Ovviamente non poteva mancare Michele Anzaldi, il quale scomodò addirittura il presidente dell' Anac, chiedendo a Raffaele Cantone di aprire un' indagine.
antonino monteleone guido alpa le iene
A scatenare la raffica di dichiarazioni degli uomini del Pd fu il rapporto che legava e lega il premier a Guido Alpa, un professore che nel curriculum di Giuseppe Conte si incontra spesso. Innanzitutto perché Alpa fa parte della commissione che promuove Conte, facendolo diventare professore ordinario. E poi perché Conte e Alpa viaggiano spesso in coppia quando c' è da firmare un parere giuridico. Prova ne sia che è lo stesso premier a scrivere che «dal 2002 ha aperto un nuovo studio legale con Alpa», anche se poi, di fronte alle contestazioni, dice di esserne stato solo coinquilino. Che fosse socio o coinquilino poco cambia, resta il fatto che Alpa è stato consigliere di Carige e consulente legale di Mincione.
E qui torniamo all' inizio, ossia all' affare milionario al centro di uno scandalo raccontato anche dal Financial Times. Di mezzo ci sono i soldi dell' Obolo di San Pietro, che invece di essere investiti dal Vaticano in opere pie finiscono per essere utilizzati per spregiudicate operazioni finanziarie.
Il fondo d' investimento usato per le scorribande è quello di Mincione, che guarda caso investe in Carige e in Retelit, operatore di servizi digitali e infrastrutture. E Giuseppe Conte, l' uomo che il 28 febbraio da Floris diceva di volersi mettere al servizio del Paese, in quei giorni era invece al servizio delle società dello stesso Mincione. Infatti il 14 maggio, quando già il suo nome circolava non più come ministro della Funzione pubblica, ma addirittura come presidente del Consiglio (sarà incaricato una settimana più tardi), Giuseppi firma un parere giuridico per sostenere che il governo - di cui presto farà parte - deve esercitare la golden power, cioè bloccare la cordata di azionisti avversa a quella di Mincione.
E il governo, di cui nel frattempo Conte è divenuto presidente del Consiglio, poche settimane dopo esercita proprio la golden power sollecitata dal Conte avvocato di Mincione e non ancora avvocato del popolo. Tutto chiaro? Il premier dice: non conosco Mincione e non presi parte alla riunione che deliberò l' esercizio dei poteri su Retelit, ma così il capo del governo si nasconde dietro a un dito, perché non basta uscire dalla stanza per raccontare che non esiste conflitto d' interessi.
La realtà è che credo sia giunta l' ora che Giuseppi ci racconti bene i suoi rapporti con Guido Alpa, con il Vaticano e anche con alcune delle operazioni di cui abbiamo parlato in queste settimane.
Non ci basta più il racconto del professore arrivato dalla Puglia e riuscito ad arrivare in alto: vogliamo sapere chi lo aiuta nella scalata e perché. In pratica, la sensazione è che finora Conte non ce l' abbia raccontata giusta. E che su di lui ci sia ancora molto da scrivere.