Federico Rampini per la Repubblica
La pietra dello scandalo in apparenza è Steve Bannon; del quale sappiamo già tutto. La vera storia è un' altra: mette in scena un match di primissimo interesse tra l'" ultra- politically correct" americano e la tradizione liberale inglese. Match anche linguistico visto che "liberal" ha la stessa radice di liberale, ma significati diversi tra le due sponde dell' Atlantico. I fatti: il famigerato Bannon, pensatore dell' estrema destra che diresse il sito delle fake news Breitbart, e ispirò i toni più radicali della campagna elettorale di Donald Trump, era stato invitato al festival del magazine The New Yorker.
Avrebbe dovuto intervistarlo in questi giorni il direttore della rivista, David Remnick. Ma si è scatenato un putiferio tra i lettori, i giornalisti, e gli altri ospiti del festival. Quattro invitati - John Mulaney, Judd Apatow, Jack Antonoff e Jim Carrey - si sono ritirati dal cartellone del festival. « Sui social media molti lettori hanno protestato, prendendosela in particolare con me per quell' invito », ha detto Remnick. La motivazione: non bisogna dare spazio, visibilità, legittimità, a un " predicatore di odio".
Bannon è stato spesso vicino ai suprematisti bianchi, si attribuisce a lui il flirt tra il Ku Klux Klan e Trump. Oltre ad avere ispirato - non da solo - i primi provvedimenti di messa al bando di immigrati islamici, quando Bannon ancora lavorava alla Casa Bianca a stretto contatto col presidente. Di fronte all' ondata di proteste il direttore del New Yorker ha disdetto l' invito: " Steve la canaglia" non verrà al festival.
Nelle stesse ore The Economist a Londra ha preso la decisione diametralmente opposta. Anche il prestigioso settimanale economico- finanziario ha un suo festival, a fine mese, e anche la testata britannica aveva pensato di invitare Bannon. In un contesto particolarmente delicato, visto che il titolo del dibattito a cui dovrebbe partecipare (con altri) riguarda il futuro del movimento #MeToo.
OBAMA E KATHLEEN SEBELIUS IN COPERTINA SUL NEW YORKER PER OBAMACARE
A Londra come a New York sono fioccate proteste e disdette, tra cui le cancellazioni di due donne: la giornalista Laurie Penny e l' attivista Ally Fogg. Ma la direttrice dell' Economist, Zanny Minton Beddoes, ha deciso di tener duro. Non solo conferma la partecipazione di Bannon, ma rivendica la giustezza della sua decisione.
«È cruciale - dice la Beddoes - che ospitiamo tutti i punti di vista».
Bannon, che sarà anche al Festival di Venezia per la presentazione del suo documentario, ha il potere di eccitare gli animi, è l' equivalente di un "drappo rosso" da torero di fronte all' opinione pubblica progressista in America. Ma la divaricazione delle scelte tra New Yorker e The Economist travalica il suo caso particolare.
The Economist non è sospetto di simpatie per l' estrema destra. Viene da una tradizione liberale nutrita della fiducia che le idee sbagliate si possono battere in una competizione aperta, nel dibattito pubblico. È una tradizione che ha fiducia nella vittoria finale degli argomenti migliori, e quindi nell' intelligenza del pubblico. The New Yorker risente della deriva del " politically correct" americano, evidente negli episodi estremi avvenuti nei campus universitari: dove i portatori di idee " sbagliate" vengono messi all' indice, la loro presenza ai dibattiti viene vietata o revocata, se appaiono vengono zittiti da manifestazioni violente.
Le frange radicali della sinistra americana - sovrarappresentate nel mondo universitario e in quello mediatico - non sembrano avere la stessa fiducia dei colleghi britannici sull' intelligenza del pubblico. Bisogna proteggere le menti ingenue dai cattivi maestri.