Alberto Gentili per "il Messaggero"
«Un passo indietro? Il presidente per adesso non molla, poi si vedrà...». È questo il ritornello intonato anche in queste ore dai collaboratori più stretti di Silvio Berlusconi. Ma giorno dopo giorno, più si avvicina la resa dei conti di lunedì quando il Parlamento si riunirà in seduta comune per eleggere il nuovo capo dello Stato, più montano le perplessità del Cavaliere. E da Arcore, dove si è rifugiato, rimbalzano due notizie. La prima: Berlusconi prende tempo, oggi non sarà a Roma e rinvia il vertice del centrodestra in cui avrebbe dovuto sciogliere la riserva sulla sua candidatura, mettendo Matteo Salvini e Giorgia Meloni in un imbarazzante stand-by.
La seconda notizia, ben più succulenta ma in qualche modo nell'aria: il Cavaliere coltiva la «tentazione» di diventare lui il vero kingmaker della partita per il Quirinale e tra sabato e domenica - se com'è probabile il bilancio della campagna acquisti sarà in rosso - il leader di Forza Italia potrebbe fare l'atteso passo indietro. E sarebbe orientato a proporre per il Colle non un esponente di centrodestra, come vorrebbe Salvini, ma Mario Draghi.
Con l'obiettivo di risultare «centrale», di non frantumare il patto di unità nazionale alla base del governo guidato dall'ex presidente della Bce, scongiurando il rischio di elezioni anticipate. Dietro a questa scelta, che in Forza Italia qualcuno definisce «possibile se non probabile», ci sarebbe il timore di Berlusconi di essere impallinato in Parlamento: «E io, con la mia storia, non posso bruciarmi».
Il desiderio di «prendere in mano la partita». E di dare, come rivelano nel suo entourage, «una lezione» a Salvini che non fa passare giorno senza demolire la sua candidatura. Emblematica al riguardo la dichiarazione di lunedì del leader leghista, annotata in rosso nei taccuini di Arcore: «La settimana prossima la Lega farà una proposta che potrà essere convincente per tanti, se non per tutti».
Non è passata inosservata neppure l'apertura della Meloni a «convergenze più ampie» se tramontasse la candidatura del capo di Forza Italia. Dietro questa scelta di Berlusconi (che come prima opzione avrebbe gradito un Mattarella bis, reso impraticabile dai ripetuti no del diretto interessato) non ci sarebbero però solo i timori per il flop, la voglia di rivincita, di centralità e la consapevolezza che cominciare a 85 anni l'avventura del Colle «non è un'impresa facile». Il leader forzista avrebbe fatto arrivare a Draghi una richiesta «per essere rassicurato».
silvio berlusconi mario draghi 1
Vale a dire: la nomina del suo braccio destro Gianni Letta a segretario generale del Quirinale, un ruolo delicatissimo e importantissimo nelle dinamiche e nei riti della presidenza della Repubblica. E una soluzione che consentirebbe al premier di lasciare a palazzo Chigi Roberto Garofoli, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio in prima fila nell'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) da oltre 200 miliardi. Non solo.
Berlusconi avrebbe anche fatto filtrare il desiderio di essere nominato senatore a vita, appena si libererà un posto a palazzo Madama. Per una sorta di «riabilitazione». E, se possibile, assieme al suo nemico storico Romano Prodi in modo da dare un segnale di pacificazione nazionale.
LE MOSSE DI LETTA
GIANNI LETTA SILVIO BERLUSCONI
Di certo, c'è che Gianni Letta da giorni è attivissimo. E che dopo anni e anni è uscito dal suo proverbiale silenzio. Giovedì scorso, a margine della camera ardente di David Sassoli in Campidoglio, il braccio destro di Berlusconi ha parlato di «serenità, armonia», di «desiderio da tutte le parti di contribuire a guardare gli interessi del Paese e non alle differenze di parte». Parole risuonate come un invito al Cavaliere a rinunciare alla corsa quirinalizia e che Letta ha ripetuto, più o meno identiche, il giorno dopo lasciando la cerimonia funebre del presidente del Parlamento Ue: «La guida per chi ha la responsabilità di eleggere il capo dello Stato deve essere l'impegno comune per il bene del Paese».
L'esatto contrario di ciò che accadrebbe se Berlusconi andasse fino in fondo, considerato il muro alzato da mezzo Parlamento. Tant' è, che c'è tra i dem chi ritiene che quello tra il Cavaliere e il suo braccio destro fosse «un gioco delle parti per alzare il prezzo e poi andare all'incasso». Di certo, proprio quel giorno il grande consigliere del capo forzista è stato ben due ore a palazzo Chigi.