Alessandro Barbera per “La Stampa”
il video di giorgia meloni contro il reddito di cittadinanza 4
«E non si dica, come farà la sinistra, che siamo statalisti, perché il loro mito, Macron, nazionalizzò i cantieri di Saint Nazaire per evitare che finissero in mani italiane...».
Mancano meno di quaranta giorni al voto. Le alleanze sono fatte, le liste quasi, e i leader sono costretti a discutere di cose serie. Gli occhi e le orecchie degli investitori sono tutti su uno di loro: la candidata premier Giorgia Meloni.
Chi maneggia soldi fra Wall Street, Londra, Francoforte e Parigi non ha tempo da perdere con le alchimie dei sondaggi. Per loro lo scenario che conta è quello più probabile e meno prevedibile nelle conseguenze.
E così la più giovane ministra della storia repubblicana (ne aveva 31 quando Silvio Berlusconi nel 2008 la scelse per occuparsi delle nuove generazioni) ha iniziato per tempo la campagna di accreditamento internazionale.
Un po’ per via dell’alta concentrazione di finanza, un po’ per la tradizione euroscettica, un po’ perché si tratta dell’unico grande Paese atlantico governato dalle destre, la Meloni si fa notare soprattutto Oltremanica.
Ieri la prima pagina del settimanale conservatore The Spectator era dedicata a lei. «Se fossi britannica sarei una Tory. Ma sono italiana. Se fossi fascista direi che sono fascista. Invece non ho mai parlato di fascismo perché non lo sono». Passiamo ad altro, dunque: che fare una volta varcata la soglia di Palazzo Chigi? Qui Meloni si affida a messaggi in parte rassicuranti (per chi investe) in parte meno.
La si potrebbe definire una ricetta moderatamente autarchica, in una fase storica in cui il nazionalismo economico è nelle corde di molti. L’uso della cosiddetta Golden power, ad esempio: Mario Draghi l’ha fatta valere più volte per evitare acquisizioni per mano cinese di aziende tecnologiche. Meloni a Radio24 si dice sicura di estenderla. «Io sono per la difesa delle nostre produzioni, dei marchi e delle infrastrutture strategiche».
vincent bollore emmanuel macron
Cosa sia strategico e cosa no la leader di Fratelli d’Italia non lo precisa. La parola «infrastrutture» lascia intendere la volontà di allargare di parecchio il perimetro degli ultimi governi. Che fra queste ci debba essere la sempre più disastrata ex compagnia di bandiera, è noto.
Di certo fra le «infrastrutture» da difendere andranno incluse le reti di telecomunicazioni, e su questo sarà in continuità con il passato. «Quello è un dossier delicato, si rischiano importanti oscillazioni. La posizione di Fratelli d’Italia è avere una rete unica, come in tutte le grandi democrazie, pubblica e non verticalmente integrata.
Quindi bisogna scorporare la proprietà della rete, che non è privata da nessuna parte (sostanzialmente vero, ndr), dalla vendita del servizio. Un’infrastruttura strategica non può essere lasciata in mano ai privati, soprattutto se stranieri».
Qui occorre spiegare un po’ di cose. La prima: il progetto è quello di cui si discute da anni. Oggi la rete è sotto il controllo di Tim (privatizzata nel 1998), che ne ha il controllo. Nel frattempo il governo Renzi ha lanciato, con il sostegno di Enel, una seconda rete in concorrenza, Open Fiber.
Il primo passo è stato l’ingresso nell’azionariato della società privatizzata di Cassa depositi e prestiti la quale, nei piani più recenti, dovrebbe acquisire il controllo delle reti di Tim e Open Fiber insieme ai fondi di investimento Kkr e Macquarie.
Quando Meloni dice che «la rete deve essere pubblica» esclude la possibilità che nell’azionariato ci siano soggetti stranieri? La risposta a questa domanda non c’è, ma è decisiva ai fini della fattibilità dell’operazione. La rete unica non è mai nata è perché costa carissima a chiunque vuole realizzarla: il socio numero uno di Tim (il finanziere francese Vincent Bolloré) l’ha valutata fra i 31 e i 34 miliardi, più o meno il valore dell’ultima legge Finanziaria.
Fratelli d’Italia non ha fin qui presentato un suo programma economico, se non quello (generico nei dettagli) dell’intera coalizione di centrodestra, e dunque occorrerà attendere gli eventi.
Nel frattempo più prosaicamente Meloni promette dell’altro: l’introduzione di un obbligo di fidejussione bancaria verso tutti gli imprenditori «non comunitari» a garanzia del pagamento delle tasse in Italia. «Non permetteremo più il gioco dell’apri e chiudi di chi agisce nell’illegalità». Sembra un chiaro riferimento alle attività commerciali di origine cinese.
2 - RICETTA CHE IGNORA LA CONCORRENZA E RISCHIA DI COSTARE CARO AGLI ITALIANI
Estratto dell’articolo di Stefano Lepri per “la Stampa”
Diceva ieri ad esempio Guido Crosetto, gran consigliere di Giorgia Meloni, che in Italia quattro operatori telefonici sono troppi. Perlopiù gli economisti ritengono che l'accesa concorrenza fra le società di telecomunicazioni abbia abbassato le tariffe, a vantaggio dei cittadini. Ma qui la logica è diversa: dare priorità alle aziende tricolori. […] Ma cosa può rafforzare le aziende da promuovere come campioni dell'Italia? Probabilmente, rassegnarsi a pagare di più i loro servizi.
Oppure, per mantenere italiana una azienda importante, si può continuare ad accollarne le perdite al contribuente, come nel caso di Ita Airways, che peraltro interessa assai meno agli altri due partiti del centrodestra.
[…] Il prestigio nazionale ha dei costi, alcuni evidenti, altri meno, che secondo Fratelli d'Italia vale la pena di sopportare. Il «Made in Italy» va protetto dagli stranieri, si tratti di affermati imprenditori francesi o tedeschi (nel mercato unico europeo, a rigore, nostri connazionali) o di bottegai bengalesi o maghrebini, accusati di mettere in difficoltà le piccole imprese italiane.
FdI parla quasi sempre di «svendita» quando i compratori parlano un'altra lingua: anche nel caso recente delle Autolinee Toscane, che si sono aggiudicate con gara l'intera rete autobus della regione, e appartengono alla Ratp, l'efficiente azienda pubblica francese del metrò di Parigi. Se la qualità del servizio possa migliorare o no appare problema secondario.
Come Giorgia Meloni ha ripetuto ancora ieri, le aziende a controllo italiano sono «gioielli di famiglia» pur se fanno acqua come Ita; vengono definite «strategiche» anche quando operano in settori di scarsa importanza, o perlomeno «fondamentali» (termine usato a proposito delle Autolinee Toscane da Paolo Marcheschi, capogruppo FdI al consiglio regionale). Dove arriva lo straniero, si sospetta la fregatura; anche quando l'orgoglio patriottico potrebbe essere lusingato. […]