Francesco Verderami per il Corriere della Sera - Estratti
Nel Pd c’è il gruppo dei «Responsabili».
RAFFAELE FITTO - SERGIO MATTARELLA
È quel pezzo di classe dirigente che per settimane ha esortato Schlein a non commettere l’errore di opporsi alla vicepresidenza Fitto nella Commissione Europea.
Perché ai «Responsabili» era chiaro che il partito si sarebbe infilato in un cul-de-sac se la segretaria si fosse messa di traverso al «candidato italiano». Così come erano chiari i segnali che giungevano dal Colle, dove Mattarella aveva invitato Fitto proprio il giorno prima che von der Leyen ufficializzasse la sua presenza in Commissione. Problemi di politica interna e di politica internazionale imponevano già allora un atteggiamento di «responsabilità nazionale»: infatti da Franceschini a Guerini, fino al governatore campano De Luca, in molti si erano esposti su questa linea.
RAFFAELE FITTO ALL EUROPARLAMENTO
«È la stragrande maggioranza del partito — spiega uno dei maggiori esponenti dem — a essere convinta che la nomina di Fitto vada appoggiata. La nostra base no». Così dicendo viene descritta una sorta di mutazione genetica del Pd: percepito come «partito dell’ establishment » starebbe diventando un «movimento radicale», «modello che oggi va molto di moda». E che la segretaria guida a modo suo.
Raccontano infatti che mentre a Roma rassicurava quanti le chiedevano della trattativa europea («Fitto lo voteremo»), a Bruxelles chiedeva agli europarlamentari del Pd di «seguire la linea stabilita da García Pérez», capogruppo spagnola del Pse. Una gestione che stava disorientando alcuni deputati dem, decisi a chiedere lumi a Franceschini: «Vedrete. Si troverà un compromesso», era stata la risposta rassicurante.
ursula von der leyen giorgia meloni - foto lapresse
Finché lo scontro a Bruxelles tra Ppe e Pse nell’audizione della vicepresidente spagnola Ribera ha aperto il vaso di Pandora. E la spagnola García Pérez «a nome di tutto il gruppo socialista», quindi anche della delegazione italiana, ha annunciato il voto contrario su Fitto. Peraltro estraneo allo scontro.
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raffaele fitto foto lapresse 3
C’è una lista lunga così di simili dichiarazioni. Solo tre giorni fa l’europarlamentare Benifei sosteneva che «Fitto non può essere vicepresidente». Mentre la collega Picierno — vedendo avanzare il disastro — provava a correggere il tiro: «Noi non ci siamo mai opposti all’idea che l’Italia, in quanto Paese fondatore, potesse avere una vicepresidenza». Era una dichiarazione che mirava a mettere in sicurezza il partito e a favorire una ricomposizione tra le forze europee.
Il punto è che lo scontro interno al Pd è proseguito in assenza di una presa di posizione della segretaria, che per ben due volte ha glissato la domanda dei cronisti sul commissario italiano.
In quelle stesse ore — secondo fonti autorevoli — si teneva una conference call tra capi di Stato e di governo che fanno parte della «maggioranza Ursula» a Bruxelles. E il giorno dopo arrivava il secondo e più esplicito segnale di Mattarella. Gli auguri formulati a Fitto «nell’interesse dell’Italia» sono stati, a detta di un «Responsabile» del Pd, «un richiamo alla segretaria».
URSULA VON DER LEYEN E I NUOVI COMMISSARI UE A BRUXELLES
Che infatti ha inteso il messaggio e ieri ha detto: «Il problema per noi non è mai stato Fitto». «Il problema per noi sarà gestire la ritirata», ha chiosato un dirigente dem.
Perché oltre al capo dello Stato, anche il «sistema Italia» con le varie organizzazioni di categoria si è schierato.
In attesa di vedere se e come si ricomporrà l’unità del Pd, c’è da capire se e come si supererà lo stallo in Europa. I «Responsabili» dem stanno collaborando con le altre forze politiche per far capire che «se non vogliamo fare il lavoro sporco per Trump e spacchettare l’Ue nei vecchi Stati nazionali», l’accordo «va chiuso entro la prossima settimana». E una soluzione serve, altrimenti sarebbe un «tutti a casa». Qualcosa di più clamoroso e nuovo della spaccatura del Pd. E davanti alle macerie dell’Unione potrebbe prendere corpo l’ipotesi di un governo di emergenza europea.
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