Davide Giacalone per “Libero Quotidiano”
L'avviso d' abbandono, che il magistrato Raffaele Cantone ha inviato all' Anm, non è questione personale o meramente sindacale, ma di rilevanza generale. Cantone aveva usato parole severe nel condannare l' eccessiva correntizzazione e il conseguente mal funzionamento del Consiglio superiore della magistratura.
Rodolfo Sabelli, presidente dell' Anm, gli aveva risposto criticando il fatto che quelle parole giungessero da chi aveva scelto altri percorsi professionali (accettando nomine governative). Lo scontro è interno e duro. Sabelli dovrebbe sapere che sono moltissimi i magistrati che prestano la loro opera al fianco di politici, fuori dal lavoro giurisdizionale, come tanti sono quelli che fanno direttamente politica, salvo poi tornare a fare i magistrati.
Ed è qui il problema: può restare magistrato chi è stato così pienamente esposto alla vita politica? È su questo che lo stesso Cantone ha il dovere di riflettere, essendo secondario che egli decida di restare o lasciare il sindacato cui è iscritto.
L' attività politica non è sinonimo di pestilenza. Ma resta attività politica, necessariamente di parte. Si prendano, ad esempio, proprio le parole di Cantone, il quale, ricevendo un riconoscimento dalle mani del sindaco di Milano, ha rinfocolato la più banale delle discussioni inutili, quella sulla superiorità morale di Milano, rispetto a Roma. Non sarà sfuggito a Cantone che i sindaci delle due città sono espressione del medesimo schieramento, ma nella Capitale è aperto un durissimo scontro sulla permanenza del sindaco. Scontro, si badi, che travaglia il partito che lo candidò. Dire quelle parole, nel pieno della polemica, significa entrarvi. Entrarvi significa prendere parte. Prendere parte è fare politica.
Si aggiunga che Cantone non ha espresso un' opinione parlando da libero pensatore, ma in qualità di presidente dell' Autorità contro la corruzione. E questo è fare politica. Stefano Esposito, senatore Pd e assessore romano ai trasporti, ha detto che il solo modo di sistemarli, in vista del giubileo, consiste nel nominare un commissario, talché i soldi stanziati per i lavori siano effettivamente spesi. Pur essendo uno degli estensori del codice degli appalti, il senatore assessore è convinto che solo derogando da quello è possibile ottenere dei risultati.
Ora, un simile disegno finirebbe sotto la vigilanza dell' Autorità che Cantone presiede.
Quando, domani, qualcuno dovesse rivolgersi alla giustizia o (speriamo di no) quando la procura avesse qualche cosa da ridire sui lavori affidati, potrebbe ritrovarsi davanti (considerato che la cosa si trascinerebbe per anni) il magistrato Cantone? All' evidenza no. Magari si asterrebbe. Ma con quel criterio dovrebbe astenersi da quasi tutto quello su cui ha maturato esperienza e competenza.
Ha senso, dunque, che il magistrato rimanga tale, potendo, un domani, occuparsi solo di divorzi e adozioni? Scegliere di fare il magistrato è impegnativo, perché si può fare solo il magistrato. Avere superato il concorso, del resto, non può significare avere acquisito il diritto a vita a restare magistrati, perché ci sono funzioni pubbliche poi incompatibili con il tornare a indagare o giudicare.
È evidente che il magistrato ha diritto di fare altro. È meno evidente che consideri quella del tribunale una porta girevole. Che sia iscritto o meno al sindacato, invece, sono affari suoi. Segnalo solo che molti magistrati non si iscrivono a un bel niente. A loro rivolgo un grato pensiero.