MARINE LE PEN E MATTEO SALVINI
1 - SULLE CENERI DELLA LEGA NASCE IL LEPENISMO
Ugo Magri per “la Stampa”
La passerella milanese di Marine Le Pen, accolta come una star da Matteo Salvini, cambia i connotati della politica italiana. Introduce una nuova pericolosa sfida. Ripulisce la destra leghista dal suo carattere provinciale, anzi dialettale. La radicalizza e perciò la rende più simile a quella che mette paura in tutto il resto del continente. Dove il populismo solleva ondate xenofobe così alte che la civilissima Svezia deporta in massa gli immigrati, e l'altrettanto esemplare Danimarca li spoglia dei loro cenci per coprire le spese.
Da ieri, il «lepenismo» ce l' abbiamo in casa. La Lega si propone come «dépendance» italiana del Front National francese, un partito capace di raggiungere il 30 per cento alle ultime elezioni amministrative d' Oltralpe. Nulla autorizza a ritenere che Salvini sarà in grado di eguagliare simili «exploit»: per il momento, Matteo li insegue al massimo col binocolo. Secondo certi sondaggisti, ha già dato il meglio (o il peggio, dipende).
MATTEO SALVINI E MARINE LE PEN A MILANO
Eppure la svolta maturata ieri nel raduno a Milano degli euroscettici dovrebbe allarmare, come si sarebbe detto un tempo a sinistra, tutti i sinceri democratici. Perché il partito lepenista italiano, che nasce sulle ceneri della Lega, surferà le ansie collettive con più spregiudicatezza e tanto maggiore cinismo di quanto erano capaci i vecchi personaggi della conservazione italiana, da Bossi allo stesso Berlusconi. Il quale solo adesso sta prendendo lezioni di Internet, con 25 anni di ritardo.
La metamorfosi era nell'aria. Da tempo Salvini ha chiuso in soffitta, insieme con i poster del Senatùr, pure l'indipendenza del Nord, la Padania, i riti pagani, le ampolle del Monviso e tutto l'armamentario caotico del leghismo prima maniera. Sono anni che tenta di sbarcare al Sud, con risultati fin qui scadenti perché da Roma in giù non dimenticano le ondate di odio contro i meridionali.
le pen e salvini come olindo e rosa per riccardo bocca
Però adesso il programma lepenista cuce addosso a Salvini una nuova t-shirt. Poche idee ma semplici, mutuate da Marine come pure dagli altri campioni euroscettici convenuti dall'Olanda, dall' Austria, dalla Polonia, dalla Romania con la benedizione di Vladimir Putin. Tre no e un sì che meno ti aspetti.
No agli immigrati (la parola d' ordine è «rimandiamoli tutti a casa»). No all'Islam, pronunciato con accenti da prima crociata. No all' Europa, all' euro e all' austerità. E invece, a sorpresa, una spruzzata di socialismo reale che strizza l'occhio ai ceti più minacciati e rabbiosi, agli anziani, ai senza speranza. Marine Le Pen vorrebbe nazionalizzare le industrie in crisi e la pensione a 60 anni.
salvini balla con marine le pen
Le contraddizioni balzano agli occhi. Tutti gli euroscettici sono contrari all'«infamia» di Schengen, tutti quanti rivogliono indietro le frontiere. Nessuno invece, incominciando dalla destra francese, vuol prendersi carico dei migranti che sbarcano qui da noi, dunque il lepenismo fa a cazzotti con l'interesse dell'Italia a ripartire il fardello. I nazionalismi non ci porteranno lontano, aumenteranno solo risentimenti e tensione: lo ha ripetuto due giorni fa Mattarella (il Presidente tra l'altro ricorda che solo 5 anni bastarono a Hitler per impossessarsi della Germania, dunque mai abbassare la guardia).
Ma gli appelli al buon senso, alla coscienza civile, agli ideali europei non bastano a fermare i populismo quando i fatti remano contro. Se la Penisola sarà invasa dai profughi, se Bruxelles imporrà altri sacrifici, se chiuderà l'Ilva e se la crisi bancaria azzannerà i risparmi, allora per questa destra sarà più facile affondare i denti. Se invece Renzi negozierà un patto equo con l'Europa, dall' immigrazione ai conti pubblici, allora anche la febbre delle paure si abbasserà. L'incontro di oggi con la Merkel a Berlino sarà un buon termometro.
2 - LA PLATEA NEMICA DELL’EURO E DELL’UNIONE
Alberto Mattioli per “la Stampa”
matteo salvini e marine le pen ballano in pista 27
Schengen è morta, l' Europa non si sente troppo bene e il popolo leghista giubila come chi, dopo aver gridato al lupo per anni, finalmente lo vede arrivare. Certo, è un po' noioso sorbettarsi otto discorsi fotocopia di altrettanti leader di partitini e partitoni antiUe che sparano tutti sugli stessi bersagli, l'immigrazione, l' islamizzazione, i burocrati di Bruxelles, l' euro «criminale» (il copyright è di Salvini) e dicono che bisogna ridare i pieni poteri agli Stati nazionali come già profetizzava il géneral De Gaulle (e questa è ovviamente madame Le Pen).
Ma fra i 1.500 del Centro congressi della Fiera di Milano, incapsulato fra i lavori dei nuovi grattacieli delle archistar, fra buche e crateri tipo Stalingrado, prevale la soddisfazione. Convinto che i fatti gli stiano dando ragione, il leghista salviniano si vuole alfiere del buonsenso contro le fumisterie politically correct e i soprusi burocratici di Bruxelles, odiata come un tempo Roma ladrona.
È un leghista postmoderno che ritiene superata la vecchia distinzione fra destra e sinistra e inveisce in egual misura con gli islamisti e le multinazionali, i clandestini e i banchieri.
Di conseguenza, va in disarmo anche il buon vecchio folk padano. Rimane qualche foulard verde, tramonta il Sole delle Alpi, spuntano le nuove t-shirt con Marine e il «Matteo giusto» abbracciati in azzurro su fondo bianco e la scritta «Un' altra Europa è possibile», dieci euro, unico gadget ostenso sull' unica bancarella.
«Marine» divide il primo posto nell' hit parade con Putin, semmai la differenza è se, come donna, piaccia più lei o la pimpante nipotina Marion. «Di certo, in comune con Salvini ha la cosa più importante: gli attributi!», gongola Marco Franzelli, geometra in arrivo da Roccafranca (Brescia), e grazie al cielo che almeno lui fa un po' di color locale perché indossa una giacca verde Lega e una cravatta pure verde punteggiata di Albertini da Giussano con lo spadone rivolto al cielo, «no, verso Bruxelles», ah sì, certo.
Allora, come si risolve la grana europea? «Con delle macroregioni inserite in un contesto europeo, secondo la lezione di Miglio», spiega Jacopo Berti, 23 anni, in arrivo da Faenza in felpa verde regolamentare con la scritta «Romagna». Ma Le Pen non sarà troppo di destra? «Beh, forse un po' sì. Ma l' importante è che ci porti fuori dall' euro», dice Tiziano Fistolera, 24 anni, segretario dei giovani padani di Sondrio, caso raro di leghista con codino da centro sociale, i «nazisti rossi» nella vulgata di Salvini.
E qui emerge qualche contraddizione che il suo popolo ancora non ha risolto. Per esempio, quando al tosto fiammingo Tom van Grieken scappa un «Camerati!» (ma forse è una traduttrice troppo zelante) e in platea a qualcuno parte un applauso e ad altri un brusio di disapprovazione.
Oppure quando Salvini dice giudiziosamente che «discriminare un essere umano dal colore della pelle o dall'orientamento sessuale è da imbecilli», e l' applauso è molto più fiacco di quando il Capitano boccia i matrimoni gay (e poi a un'anziana in arrivo dalla deep Padania scappa un «che schifo, questi invertiti!» che non si sentiva dai tempi del processo a Oscar Wilde).
E resta il problema della secessione. Si capisce che, nonostante la svolta di Salvini, che vede la Lega come un italico Front, appunto, «national», i militanti sognano ancora la Padania. Succede due volte. La prima quando l' olandese Marcel de Graaf dice che «è meraviglioso essere qui in Padania» e la folla esplode, con i giovani che lanciano subito il ritornello «Padania? Libera!». E poi con Marine Le Pen che fa la gaffe: «Siamo tutti figli di Roma», e partono i «No!».
Però lei intendeva la Roma di Cesare e Virgilio, non quella di Marino, e comunque riprende quota e applausi citando Sant'Ambrogio. Salvini tenta la quadratura del cerchio: prima riprendersi la sovranità confiscata dalla Ue e poi fare il federalismo «perché io resto federalista», insomma disfare l'Europa per rifare l' Italia. Tutto futuribile. Ma per la prima volta, forse, il popolo leghista ha l'impressione di marciare nel senso della Storia, non contro. Salvini: «Dicevano che eravamo pazzi. Ma la normalità è qui, i pazzi sono fuori». I suoi, di certo, ci credono.
UMBERTO BOSSI A PONTIDA NEL 1990