Estratto dell’articolo di Massimo Gaggi per il “Corriere della Sera”
Alle sette di questa sera gli elettori repubblicani dell’Iowa — prevedibilmente una sparuta minoranza, viste anche le proibitive condizioni atmosferiche — si recheranno in 1.500 scuole, palestre, teatri e altri centri sociali sparsi nelle pianure di questo Stato grande quanto la metà dell’Italia con appena 3 milioni e duecentomila abitanti per votare nei caucus.
Ascolteranno per circa un’ora i rappresentanti dei candidati che si contendono la nomination dei conservatori, disponendosi intorno al loro preferito. Poi voteranno in modi diversi da contea a contea: in genere usando schede raccolte in buste commerciali gialle, subito consegnate agli scrutatori che effettueranno lo spoglio davanti agli elettori. Un rito suggestivo e trasparente ma che ignora, in gran parte, il criterio della segretezza del voto e dal sapore arcaico. […]
In realtà, anche se i caucus sono stati usati per oltre un secolo da alcuni Stati in alternativa al voto a scrutinio segreto, il giudizio dell’Iowa, prima tappa della lunga marcia elettorale Usa, ma anche lo stesso processo del voto popolare nelle primarie, sono diventati di grande rilevanza solo dopo il 1968: l’anno di una caotica convention democratica, in una stagione segnata dall’assassinio di Robert Kennedy e Martin Luther King, che portò alla nomination di un candidato — Hubert Humphrey — scelto dai dirigenti del partito, poi sconfitto dal repubblicano Richard Nixon. Da allora nella scelta del candidato presidente democratici e repubblicani hanno dato sempre più peso al voto popolare rispetto ai giochi di partito.
elettore di trump ai caucus in iowa
Per mezzo secolo questo Stato in gran parte rurale sperduto nell’America «profonda», scelto come battistrada per complessi motivi organizzativi, è stato il principale laboratorio della politica americana: certo, oggi eleggerà solo 40 dei quasi 2.400 delegati che alla convention repubblicani sceglieranno il candidato presidente, ma il fatto di votare per primo gli ha dato fin qui un peso enorme nell’indirizzare il corso delle primarie.
Nel 1976, ad esempio, prima di arrivare qui, Jimmy Carter era una figura minore nel partito democratico. Ma lui, figlio di agricoltori della Georgia, affascinò il popolo rurale dell’Iowa: la vittoria a sorpresa in questo caucus fu il trampolino che lo portò fino alla Casa Bianca.
Proprio i democratici, però, ora hanno depennato l’Iowa dal loro calendario elettorale: spedito nelle retrovie e trasformato in un voto postale dopo il caos di quattro anni fa con i sistemi digitali di raccolta dei voti delle 99 contee incapaci di fornire risultati affidabili per diversi giorni.
jimmy carter con una nocciolina
L’Iowa, poi, con una popolazione bianca all’84 per cento, non riflette la composizione dell’elettorato democratico. Riflette meglio quello repubblicano: anche per questo il partito di Trump riparte da qui, ma il modello del caucus appare sempre più obsoleto: richiedendo la presenza fisica degli elettori in un luogo specifico per almeno due ore a tarda sera, esclude dal voto chi lavora, i disabili, molti anziani, chi studia lontano dal seggio.
Risultato: in passato alle primarie dell’Iowa hanno votato in media 180 mila cittadini su una popolazione che supera quota 3 milioni. Quest’anno col freddo estremo (28 sotto zero con forti venti) e il rischio di assideramento se si rimane in fila all’aperto anche solo per pochi minuti, Trump e gli altri candidati fanno appello all’eroismo dei loro supporter. Vincerà l’ex presidente con ampio margine ma i risultati, compresi i rapporti di forza tra gli inseguitori Nikki Haley e Ron DeSantis, influenzati dalla determinazione e dallo stato di salute fisica di chi avrà il coraggio di affrontare il gelo polare, potrebbero riservare qualche sorpresa.
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elettori di trump ai caucus in iowa