giorgia meloni giancarlo giorgetti
DAGONOTA
La cazzata di Giorgia, quella che non ti aspetti perché sconsideratamente grossolana: spedire Giancarlo Giorgetti al ministero dell’Economia. L’uomo sbagliato al posto sbagliato.
La Ducetta lo considera, sbagliando, un draghiano a cui Mariopio darà una mano a gestire le rogne colossali dei prossimi giorni al Mef. Cosa che non succederà perché, al momento in cui la Lega fece naufragare il suo governo, Giorgetti cuor di coniglio non alzò il sopracciglio. E Draghi non dimentica.
Il dicastero chiave, quello che dovrà gestire la crisi incombente e “governare” con oculatezza le spese degli altri ministeri (a partire di quello delle Infrastrutture, che ha in pancia il grosso dei fondi del Pnrr, in cui potrebbe accasarsi il suo capo, Matteo Salvini), puo’ mai essere guidato dal più pavido e incolore degli esponenti leghisti, che tra l’altro neanche parla inglese?
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Ce lo vedete Giorgetti “cuor di melone”, che non ha mosso neanche il mignolo per evitare la caduta del governo Draghi, andare a rassicurare i mercati e gli investitori, magari in varesotto stretto?
Come ha scritto Rampini, in un articolo del 3 marzo 2019 ai tempi del governo Conte-1, Giorgetti “non giova nei summit dove è utile rivolgersi direttamente ai leader stranieri. Ma c'è un handicap ancora peggiore: credere o fingere di sapere l'inglese”.
“Giorgetti - ha infierito Rampini - nella prestigiosa Harold Pratt House sulla 68esima Strada, circondato dai ritratti della élite di geopolitica e dalle boiserie ottocentesche, ha pronunciato un testo incomprensibile sia agli americani che agli italiani. Leggeva in una lingua a lui quasi sconosciuta, con una pronuncia inventata. Il peggio è venuto quando si è ostinato a rispondere a braccio, sempre nel suo inglese maccheronico”.
giorgia meloni giancarlo giorgetti roberto giachetti
Chissà cosa capiranno le agenzie di rating, che hanno il ditino sul grilletto del declassamento dei titoli italiani a “spazzatura”, dei rassicuranti discorsi del varesotto…
Giorgia Meloni è sicura di affidare il ministero determinante anche per il suo futuro a palazzo Chigi al ritroso vicesegretario della Lega, che non dispone di rapporti tentacolari a via XX settembre e di consolidate relazioni nel Deep State (che è il vero potere invisibile che fa girare la macchina dello Stato)?
E’ vero che i pezzi da novanta come Fabio Panetta non sono disponibili (le sue deleghe alla Bce sono pesantissime e l'Italia non puo' rinunciarvi), ma la Ducetta non ha nessun jolly nella manica? Qualcuno che abbia standing internazionale e credito spendibile per accollarsi 'sta croce del ministero dell'Economia?
I mercati ci guardano, le agenzie di rating ascoltano e Bruxelles sta affilando le lame. Qualcuno dica a Giorgia Meloni che è meglio accomodarsi a palazzo Chigi avendo nella tolda di comando del Mef qualcuno che non faccia girare le palle oltre i confini. O, almeno, che le palle sappia usarle.
giorgia meloni giancarlo giorgetti
LA VISITA DI GIORGETTI NEGLI STATI UNITI, IL POLITICO SENZA INGLESE
Federico Rampini per “la Repubblica” del 3 marzo 2019
C'era molta attesa per l'intervento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ospitato dentro il Council on Foreign Relations, il più importante think tank di politica estera di New York e Washington. In una fase in cui il governo Conte cerca di costruire una relazione solida con l'amministrazione Trump (con cui non mancano le affinità ideologiche), alla vigilia di questa missione Giorgetti era stato presentato agli americani come un esponente relativamente moderato e pragmatico della Lega.
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Il suo discorso nella sede newyorchese del Cfr era l'occasione per confermare queste attese davanti a un pezzo di establishment finanziario e politico: in particolare quella business community italo-americana che può svolgere un ruolo prezioso per riportare investimenti e cambiare la percezione di Wall Street sul rischio paese.
Brutti scherzi, gioca il non sapere l'inglese, la lingua globale per eccellenza. Non giova nei summit dove è utile rivolgersi direttamente ai leader stranieri. Ma c'è un handicap ancora peggiore: credere o fingere di sapere l'inglese. È molto meglio avere l'umiltà di parlare all'audience straniera nella propria lingua, e affidarsi alla competenza professionale degli interpreti per tradurre dettagli, sfumature, sottigliezze. D'altronde c'è chi per principio e per orgoglio nazionale usa sempre la propria lingua, e non c'è bisogno di essere sovranisti dell'ultima ora: così fan spesso i leader francesi all'estero, quasi sempre i cinesi e i russi.
GIANCARLO GIORGETTI E MATTEO SALVINI
Giorgetti nella prestigiosa Harold Pratt House sulla 68esima Strada, circondato dai ritratti della élite di geopolitica e dalle boiserie ottocentesche, ha pronunciato un testo incomprensibile sia agli americani che agli italiani. Leggeva in una lingua a lui quasi sconosciuta, con una pronuncia inventata. Il peggio è venuto quando si è ostinato a rispondere a braccio, sempre nel suo inglese maccheronico, alle domande. Interrogato sulla posizione del governo riguardo alla crisi libica, ha detto, letteralmente: "French out" e "Better a dictator".
Forse se avesse parlato in italiano avrebbe avuto qualcosa di più articolato da dire, non solo "fuori i francesi dalla Libia" e "si starebbe meglio con un dittatore". Anche come sintesi della posizione del nostro governo, non è proprio il massimo. La diplomazia italiana ha dovuto correre ai ripari intervenendo subito dopo per spiegare cosa Roma sta cercando di fare in Libia insieme ai propri alleati Usa e Francia.
giorgia meloni parla con giancarlo giorgetti alla camera 2
Che occasione sprecata. È legittimo che un governo italiano critichi il ruolo della Francia in una zona tragicamente instabile del Nordafrica, vicina a noi, da dove partono ondate di profughi (e quelli che vi rimangono subiscono abusi indegni). La posizione italiana trova un terreno favorevole negli Stati Uniti: già Barack Obama si pentì per essersi lasciato trascinare nella guerra libica da Nicolas Sarkozy, e fece su quell'errore un'autocritica esplicita. Donald Trump ha interrotto da un pezzo la luna di miele con Emmanuel Macron, per svariate ragioni. Ma la presunzione linguistica di un sottosegretario alla presidenza del Consiglio ha vanificato un'occasione di spiegare il punto di vista italiano, lo ha deformato in una semplificazione così estrema da sembrare una chiacchiera da bar.
MATTEO SALVINI GIANCARLO GIORGETTI
In quell'infortunio non è andato in scena soltanto il provincialismo di una classe politica, ma anche l'improvvisazione con cui (non) vengono preparate visite della massima importanza. È giusto ricordare che le convergenze tra il governo Conte e l'amministrazione Trump sono reali su molti terreni, e non solo quelli più controversi come l'immigrazione. I due giorni di lavori del Consiglio per le relazioni Italia-Usa hanno messo in luce una vicinanza nella critica ai parametri euro-germanici di stabilità.
giorgia meloni parla con giancarlo giorgetti alla camera
La crescita economica Usa viaggia a una velocità di crociera del 3%, la piena occupazione è una realtà acquisita, anche perché da Obama a Trump c'è una continuità: s'ignorano qui le rigidità della politica di bilancio, investimenti pubblici e riduzioni d'imposte vengono usati per sostenere la crescita. La visita di Giorgetti si conclude oggi, in programma ci sono anche incontri con top manager importanti. Chiamate gli interpreti.
giancarlo giorgetti e matteo salvini 2 giancarlo giorgetti giorgia meloni matteo salvini