Alessandro Barbera per “la Stampa”
GIANCARLO GIORGETTI E GIORGIA MELONI
All'ora di cena la decisione sembrava imminente, un'ora dopo era già svanita. Il 24 gennaio scattano i novanta giorni previsti dalla legge Bassanini per i quali, con l'arrivo di un nuovo governo, decadono gli incarichi degli alti dirigenti della pubblica amministrazione. Ieri nei palazzi si è sparsa la voce che il consiglio dei ministri di domani avrebbe deciso subito che fare con le due caselle più importanti, quelle del direttore generale del Tesoro - Alessandro Rivera - e del Ragioniere generale dello Stato Biagio Mazzotta. Per quest' ultimo la conferma è sempre più probabile.
Su Rivera nella maggioranza è in atto invece uno scontro. Da un lato i fedelissimi di Giorgia Meloni (il sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, i ministri Francesco Lollobrigida e Guido Crosetto) che premono per cambiamenti, dall'altra le colombe: Giancarlo Giorgetti, ma anche Adolfo Urso e Raffaele Fitto.
Nelle intenzioni di Palazzo Chigi Rivera, ai vertici del Tesoro dal primo governo Conte, dovrebbe essere sostituito da Cristiano Cannarsa. Ma fra il dire e il fare ci sono i curriculum: Cannarsa, fin qui stimato amministratore delegato della società che si occupa delle gare per gli acquisti della pubblica amministrazione (Consip) ha un neo: non è esperto di finanza, né di rapporti con le istituzioni europee.
BIAGIO MAZZOTTA - RAGIONIERE GENERALE DELLO STATO
Per dare un segnale di discontinuità c'è chi ha suggerito un compromesso: la conferma di Rivera ma senza la responsabilità sulle società partecipate, da affidare a Cannarsa o Antonino Turicchi, nel frattempo nomimato presidente di Ita. Ma anche questa soluzione sembra già tramontata. Insomma, con il passare delle settimane Meloni si sta accorgendo che per farsi spazio nella giungla della macchina pubblica il machete (copyright Crosetto) non funziona. E non piace granché al Quirinale, a cui Meloni non è insensibile.