1 - BIDEN SOLO CONTRO TUTTI PUNTA AL MAXI-PIANO DI RIPRESA ECONOMICA PER ARCHIVIARE KABUL
Federico Rampini per “la Repubblica”
Solo contro tutti, attaccato dagli alleati al G7 e da uno schieramento bipartisan al Congresso, Joe Biden tiene duro: la scadenza ultima per il ritiro delle truppe resta il 31 agosto. «È un caso patologico di tunnel vision?», si chiede il progressista Los Angeles Times, alludendo a un "paraocchi" che impedisce di vedere la realtà.
Ma davvero Biden è solo contro tutti? Come nasce la sua ostinazione, la pervicacia che lo rende sordo di fronte alle implorazioni di molti governi Nato, nonché di tanti parlamentari del suo stesso partito? A dimostrare le determinazione di Biden, un dettaglio aggiuntivo. Ogni mattina alla Casa Bianca si riunisce una War Room, con inizio alle 8.45, e una task force collegata via Zoom a diversi rami dell'Amministrazione. Non ha niente a che fare con l'Afghanistan, però.
Questa War Room si occupa di coordinare tutti gli sforzi per il varo della maxi-manovra decennale da 3.500 miliardi che deve rilanciare gli investimenti in infrastrutture, la transizione a un'economia con zero emissioni carboniche, e costruire un Welfare State avanzato e inclusivo. Biden segnala così la sua certezza: l'Afghanistan verrà dimenticato presto, le priorità sono altre per la maggioranza degli americani, ancor più se si guarda agli elettori di sinistra.
afghanistan profughi in fuga dai talebani
Solo contro tutti? Per Biden questa è una situazione familiare. Più o meno la stessa in cui si trovò nel 2009-2010. Era vicepresidente di Barack Obama, quando il Pentagono pretese di ovviare ai segnali di fallimento in Afghanistan con una escalation di truppe. Lo stesso Obama ricorda quella vicenda nelle sue memorie.
«Fu la più gigantesca operazione di lobbying e relazioni pubbliche scatenata dai militari verso la presidenza Usa», nella ricostruzione dell'ex-presidente. Personaggi come il generale Stanley McChrystal ne furono protagonisti, mobilitarono la vasta rete di alleanze politiche, intellettuali e mediatiche di cui dispongono le forze armate: uno schieramento bipartisan dominante nell'establishment.
Riuscirono a piegare Obama, che ammette oggi di non avere avuto la forza (era eletto da un anno, giovane, afroamericano, «e non avevo mai fatto il servizio militare») per resistere alle pressioni del Pentagono. Obama con un decennio di ritardo nel suo libro di memorie ha dato ragione a Biden. Prolungare l'avventura militare in Afghanistan era sbagliato già allora.
Oggi Biden ha dalla sua una mole aggiuntiva di prove sugli errori e le bugie dei capi militari, nessuno dei quali ha pagato con le dimissioni per aver millantato la forza dell'esercito regolare afghano. Il tracollo delle truppe governative a Kabul - premessa per il disastro nell'evacuazione - viene addebitato a Biden mentre è tutto a carico del Pentagono.
avanzata talebana in afghanistan 15
Il presidente "solo contro tutti" è convinto in realtà che l'opinione pubblica americana abbia abbandonato da tempo le illusioni imperiali, i sogni di gloria su un'America "iper-potenza" capace di raddrizzare i torti e guarire le ingiustizie del pianeta. Già Obama nel 2009 aveva promesso ai suoi che "il nation-building si farà a casa nostra, è qui che abbiamo una nazione da ricostruire dalle fondamenta".
In aiuto a Biden si aggiunge l'effetto di 4 anni di presidenza Trump sull'elettorato repubblicano. Trump ha "rieducato" almeno una parte della base repubblicana, abituata a sostenere gli interventi militari all'estero, riportando in auge una tradizione isolazionista che era stata dominante a destra nella prima metà del Novecento. Non a caso gli attacchi che Biden oggi subisce su Kabul da parte repubblicana, non contestano la razionalità del ritiro bensì la sua esecuzione.
Trump stesso nelle dichiarazioni recenti ha confermato che lui avrebbe ritirato le truppe «ma subito dopo avrei bombardato i talebani dal cielo, per distruggere l'arsenale made in Usa che stanno catturando». Altri esponenti della destra accusano Biden anzitempo di voler spalancare le frontiere a un massiccio influsso di profughi afghani. Ma pochi si uniscono ai cori di critiche in provenienza da Nato e G7, due istituzioni sovranazionali verso le quali Trump professò il massimo disprezzo.
2 - E SE BIDEN AVESSE VINTO? PARLA CHARLES KUPCHAN
Francesco Bechis per www.formiche.net
Charles Kupchan è senior fellow del Council on Foreign Relations (Cfr) e tra i massimi esperti americani di Cina. A dispetto delle apparenze, nel lungo periodo la presa talebana di Kabul sarà più un problema per Vladimir Putin e Xi Jinping di quanto non lo sia per Joe Biden, dice il politologo americano a Formiche.net, “l’Europa dovrebbe tenerne conto”.
Putin e Xi si sono sentiti al telefono per discutere di Afghanistan. Siamo già al momento della spartizione?
Nel breve termine Cina e Russia trarranno beneficio dalla decisione americana, dalle scene di caos che arrivano da Kabul in queste ore. Entrambe le descriveranno come un fallimento delle politiche occidentali, cercheranno di sfruttare l’intera vicenda per rafforzare la cooperazione bilaterale.
C’è anche un vantaggio economico?
Per la Cina sì: l’Afghanistan ha un grande appeal perché si presta bene alle infrastrutture e alle rotte commerciali della nuova Via della Seta. La Russia ha interesse a una maggiore presenza di intelligence sul campo e a garantire la sicurezza dei suoi uomini nella regione.
Nel lungo periodo Mosca e Pechino escono vincitrici?
Non esattamente. Putin e Xi assistono entusiasti alla disfatta americana in Medio Oriente, non c’è dubbio. Ma sanno anche che in questi vent’anni l’Afghanistan è stato un albatros politico per gli Stati Uniti e ha molto diviso l’opinione pubblica. A lungo andare la conquista talebana sarà più un problema per russi e cinesi di quanto non lo sia per Biden, che potrà tornare a concentrarsi sulle priorità politiche tradizionali.
Ad esempio?
Da una parte l’America sposterà risorse e uomini dal Medio Oriente all’Eurasia e all’Asia pacifica. Dall’altra si focalizzerà sulle sfide di politica interna. Gli Stati Uniti hanno speso sei trilioni di dollari nelle “guerre eterne”. Biden ora ha le mani libere per spendere quei soldi nelle infrastrutture, nel welfare e per aumentare gli standard di vita degli americani.
Insomma, il ritiro da Kabul è una quasi vittoria sul piano interno?
Dobbiamo essere chiari: la fuga dall’Afghanistan rappresenta comunque un duro colpo per questa amministrazione. Le immagini che ci arrivano da Kabul sono terribili, tragiche, insostenibili. Ma è pur sempre un colpo temporaneo, e la ferita guarirà nel tempo.
Il G7 si è mostrato diviso sul da farsi. Sui tempi del ritiro si rischiano attriti fra Stati Uniti e alleati europei?
Aspettiamo prima di commentare. È vero, Biden ha detto che gli americani non resteranno oltre il 31 agosto. Ed è perfettamente comprensibile la sua prova di forza nel G7. Ma in Afghanistan ci sono ancora migliaia di persone che cercano di uscire, fra cui cittadini statunitensi: dubito che la Casa Bianca faccia le valigie lasciandoli lì.
afghani in fuga all aeroporto di kabul 2
Al G20 l’Europa cercherà un compromesso con Cina e Russia. La mediazione può incrinare i rapporti con Washington?
Non penso che gli europei possano permettersi il lusso di uscire dal perimetro dell’alleanza atlantica quando trattano con Cina e Russia. Credo piuttosto che abbiano un altro compito, più urgente.
Quale?
Separare la Russia dalla Cina, mettere altri chilometri fra Mosca e Pechino. Spingendo al contempo gli Stati Uniti verso una politica cinese che sia equamente suddivisa fra contenimento ed engagement.
Come?
L’amministrazione Biden ha avuto un approccio troppo in bianco e nero. Il questo momento storico il richiamo del presidente allo scontro fra democrazie e autocrazie è stato controproducente. Dopotutto la Cina è già presente in tutti i distretti del globo, l’idea di un decoupling o di un ritorno alle logiche da Guerra fredda fra blocchi non è realistica.