Claudio Del Frate per www.corriere.it
Un malato terminale di 43 anni ha chiesto di accedere al suicidio assistito e i giudici del tribunale, per la prima volta in Italia, hanno stabilito di verificare se esistono le condizioni perché la richiesta venga accettata.
Accade ad Ancona e il provvedimento è figlio della sentenza della Corte Costituzionale sul caso Cappato che aveva ammesso che in alcune circostanze l’assistenza al suicidio non è più reato.
La notizia è stata resa nota dall’associazione Luca Coscioni. Adesso toccherà ai medici della Asl di Ancona verificare se il malato si trova nelle condizioni stabilite dalla legge per porre fine alla sua sofferenza.
Le tappe della vicenda
Il protagonista della vicenda è rimasto vittima di un grave incidente stradale oltre dieci anni fa; la diagnosi era apparsa subito senza speranza: frattura della colonna vertebrale, paralisi irreversibile di tutti e quattro gli arti alla quale si sono aggiunte nel corso degli anni altre gravi patologie.
Sembrava una sofferenza senza fine fino a quando nel novembre 2019 la Corte Costituzionale intervenendo sul cosiddetto «caso Cappato» (l’esponente radicale che aveva accompagnato in una clinica svizzera dj Fabo per portare a termine un suicidio assistito) aveva modificato la legge: l’istigazione al suicidio (articolo 580 del codice penale) non è più reato per chi «agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetta da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che ella reputa intollerabili, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli».
Il tetraplegico marchigiano, il 28 agosto del 2020 chiede alla Asl di Ancona, proprio alla luce della sentenza della Suprema Corte, di poter accedere al suicidio assistito. L’azienda sanitaria respinge la richiesta senza avviare però alcuna verifica.
Viene presentato nel marzo 20212 un primo ricorso al tribunale di Ancona, che conferma il parere dell’Asl. A maggio i legali del paziente e dell’associazione Luca Coscioni ripropongono il quesito al tribunale chiedendo di verificare se esistono le condizioni stabilite dalla Corte Costituzionale.
In particolare: se il paziente è davvero tenuto in vita da «trattamenti di sostegno vitale e affetto da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche»; se lo stesso sia in grado di prendere decisioni consapevoli; se il farmaco Tiopentone sia idoneo a garantirgli una morte «rapida, indolore e dignitosa».
Stavolta la risposta del tribunale di Ancona è positiva, ammettono che il malato ha diritto di pretendere quegli accertamenti e che, se del caso, il suo accompagnamento al suicidio non costituirà più un reato. Positivo il primo commento da parte di Filomena Gallo, segretaria dell’associazione Luca Coscioni: «Non è possibile costringere gli italiani a una simile doppia agonia. Occorre una legge. Per questo a fronte di un Parlamento paralizzato e sordo persino ai richiami della Corte costituzionale è necessario un referendum». L’Associazione ha annunciato che avvierà una campagna di raccolta firme proprio su questo tema.
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