Domenico Quirico per ''La Stampa''
Pensate: il futuro di un regno favoloso d' Arabia, zeppo di ricchezze, tutto scritto e affatturato in una lettera misteriosa. Un re defunto che lascia ai suoi consiglieri 72 ore per scegliere il migliore sovrano da sistemare nel lauto Palazzo. Altrimenti, se i pareri saranno divaganti, deciderà lui dalla tomba, con il verdetto scritto e imbustato di suo pugno. Ma sono le mille e una notte! È un racconto inedito di Sherazade per imbambolare il suo annoiato aguzzino! No. Credetemi. È l' Oman, ventunesimo secolo.
Sugli atlanti dei turisti, soprattutto quelli provvisti di palanche, la parola Oman è scritto a caratteri di platino, una Shangri-la con le palme, su cui sdrucciolare quattro ore comode di aereo. C' è tutto: il cammello e il mare di smeraldo, la sabbia, le montagne, gli alberghi a sei stelle, la chiesa e la moschea, fanatismo fioco o inesistente, centri commerciali da lasciarci le suole, gente cordiale ed esotismo. E poi sei più al sicuro che a Milano. Qui il turismo e la cultura, dicono, contino più che il petrolio, che meraviglia d' Oriente! Che i Magi venissero di qui?
QABOOS CON LA REGINA ELISABETTA E FILIPPO
Siamo sinceri. Sul mondo dell' islam noi viaggiamo tra due ambivalenze. Facce da legge islamica, al ladro si recide la mano destra, l' adultera lapidata, le lugubri bandiere dell' Isis hanno spiazzato ogni ottimismo. Ma di contro, sistemiamo le mille e una notte, emiri dalle ricchezze infinite e con lo yacht a Sanremo, custodi dei luoghi santi ma anche devoti a delibare golosamente consumismo e jihad dei consigli di amministrazione.
Eppure se in Oman sbarcavate nel 1970 erano dolori. Una camorra desolata di ex schiavisti e pirati. E il sultano? Said bin Tayud, un tipaccio dispotico: sembrava prender gusto a tenere i quattro sudditi bene in fondo al Medioevo, l' aria bolliva su un paesaggio desolato di deserti e montagne, andare a scuola era considerato una provocazione insurrezionale e così il 75 per cento della gente non perdeva tempo a leggere e a scrivere. I medici erano una decina.
Nessuna strada. Viaggiare era avventura che ricapitolava i polverosi tempi del Profeta; che peraltro trovò braccianti solerti proprio qui.
Le fiabe cominciano sempre così. Con tempi cupi, popoli affamati, re cattivi. Poi un giorno il giovane e bel principe Qaboos tornò in patria dopo molti anni passati in terre lontane.
Che sarebbe poi lo stagionato ex impero britannico, dressage di routine per i regnicoli un tempo devoti alla regina Vittoria. Il buon principe torna e fa capitombolare il padre dal trono.
Quello sgorbiato stambugio desertico gli limava l' anima delicata e ammodernata. Ma niente golpe violento, gente impiccata, violenze antiestetiche. Una fiaba di golpe, semmai, con il papà reazionario che va in esilio doratissimo e il figlio Qaboos che illumina i lampioni della modernità.
Sono stati cinquant' anni ruscellanti oro. Il welfare fastoso e universale del petrodollaro, gli ex analfabeti vanno a scuola fino a diciotto anni, niente tasse, la manodopera che arriva dal retroterra dei poveracci - Filippine, Pakistan - trattata pare in modo umano. E le donne? Velate ma con diritto di voto e soprattutto la patente. Moschee nuove di zecca ma anche chiese cristiane. Qui si pratica tra i tanti islam una versione che si chiama ibadismo. Con tolleranza da far rizzare i capelli in testa ai mafiosi della guerra santa. In politica estera il sultanato pratica terze vie audaci, media tra sciiti e sunniti, chiacchiera con gli ayatollah, cerca di metter pace ovunque può, non si mette sull' attenti quando l' Arabia saudita da ordini, per esempio di sistemare all' indice il Qatar.
Quando vi sono ostaggi anche occidentali da portare a casa è buona pratica rivolgersi al sultano. Talora fa miracoli.
Qaboos ha nominato un parlamento ma è solo consultivo, le decisioni le prende tutte lui che è sultano primo ministro si occupa di difesa, esteri, interni.
Insomma non ha certo ricalcolato l' intera equazione dei poteri.
I sudditi non sono sempre riconoscenti, un abbozzo di primavera araba ha modestamente vampeggiato anche qui, chiedevano riforme i mai contenti, poco più che mugugni.
Ma in tutte le fiabe il Male entra subdolamente. Il sultano è vecchio e irrimediabilmente malato. Il che sarebbe triste ma umanamente inevitabile. Se ci fosse un erede, un figlio: morto il sultano viva il sultano! Sperando in cromosomi ammodo.
Si accontenterebbero anche di un fratello, i sudditi baciocchi per l' angoscia di perder welfare e tranquillità. Non c' è neppure quello. Tocca al consiglio della corona tirar fuori un nome, uno sbilenco aeropago di cugini capitribù supposti sapienti. Ma se togliessero dall' amido un eletto unanime la lettera verrà comunque aperta o distrutta? E se il nome non coincide? Dietro la fiaba occhieggia già un Shakespeare in jallabiya.