Ilario Lombardo per la Stampa
Anche se, instancabile, saltella da una parte all' altra dell' Italia, Luigi Di Maio è sempre con la testa rivolta al Colle. È lassù che si gioca la sua ultima speranza di diventare il più giovane presidente del Consiglio della storia d' Italia. Già informato dell' intenzione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella di non dare per forza il mandato al primo partito, ma alla coalizione che saprà assicurare una maggioranza, il leader grillino rassicura le truppe impegnate nell' ultima difficile settimana di campagna elettorale: «Dobbiamo puntare tutto contro Silvio Berlusconi - è stato il suo ragionamento nelle ultime ore - Perché se il centrodestra non ce la fa a tenere, toccherà a noi l' incarico. Le larghe intese con Renzi, con il Pd così scarso, sono quasi impossibili».
DALEMA RENZI BERLUSCONI E DI MAIO COME I CUGINI DI CAMPAGNA
I numeri potrebbero dare ragione a Di Maio: la somma dei collegi, tra Forza Italia e dem, non è sufficiente per un governo. «Devono fare comunque i conti con noi» va ripetendo il candidato premier del M5S, convinto che uno spiraglio per salire al Colle almeno per un mandato esplorativo ci sia e che Mattarella non si metterà di traverso. Devono realizzarsi alcune precise condizioni, però. Serve innanzitutto recuperare più voti possibili in quest' ultima settimana, cruciale per attrarre gli indecisi.
Tutti gli sforzi sono concentrati su Berlusconi. «E' un ballottaggio tra noi e lui - dice Di Maio - Il Pd è fuori». Poi sarà necessario che l' asse tra l' ex Cav e la Lega di Matteo Salvini non regga, o per questione di percentuali o (più difficile) per inconciliabilità tra i due, e che il M5S realizzi un buon risultato, magari superiore al 30%. Infine, è fondamentale che Di Maio convinca il Capo dello Stato di essere capace di trovare una maggioranza, anche a costo di compromessi un tempo inaccettabili per i grillini. E visto che ha già perso più di dieci candidati, non sarà semplice, nonostante insista nel dire che quasi tutti loro hanno firmato il documento delle dimissioni, che ha un valore giuridico nullo, e che non cadranno nella rete di Berlusconi.
È tutto un incastro di aritmetica e speranza, basato sull' istintiva fiducia che Di Maio e Mattarella hanno saputo costruire tra di loro, attraverso colloqui informali che sono proseguiti grazie agli ambasciatori di entrambe le parti. Ed è su questo piedistallo di fiducia che il leader grillino sta plasmando la sua squadra di governo.
Confermato il timing: «La prossima settimana conoscerete i ministri che proporremo al presidente della Repubblica. Saremo gli unici a farlo primo del voto - ha annunciato Di Maio - Sono entusiasta delle persone che stanno dando la loro disponibilità: sono un patrimonio di tutta l' Italia». In realtà, dopo i tanti rifiuti incassati restano diverse le caselle da riempire. Allo Sport, per esempio, dopo il no di Claudio Gentile, si fa il nome di un altro calciatore, Damiano Tommasi, che ha visto sfumare la presidenza della Federcalcio. La scelta sui nomi è cesellata seguendo profili di «assoluta garanzia», assicurano nello staff di Di Maio.
Figure tecniche competenti, senza troppa coloritura politica. Questo era, perlomeno, il piano. L' esempio che viene fatto, in positivo e in negativo, è la giunta Raggi a Roma. In positivo, perché gli assessori rappresentavano, per curriculum, personalità di peso. In negativo, perché quando molti si sono sottratti al corteggiamento, tra i 5 Stelle è montata la convinzione che si stia pagando «il caos che c' è stato nella giunta di Roma», la cattiva immagine data tra dimissioni, liti, assessori non tutelati.
BEPPE GRILLO LUIGI DI MAIO ALESSANDRO DI BATTISTA
Ai vertici del M5S sono anche sempre più persuasi che una composizione di alto profilo e trasversale, può più facilmente attrarre i voti del centrosinistra. Di Maio conferma che dialogherà con tutti, compreso il Pd, indebolito e magari non più a trazione renziana. Lo farà con in testa il progetto di un governo di scopo ma senza cedere dall' ambizione di essere però lui il premier.
«E' essenziale per dare un indirizzo politico». Questo vale adesso, in campagna elettorale. Dopo il 4 marzo l' universo del possibile si amplierà magicamente e anche quel «no allo scambio di poltrone», che il M5S sbandiera come principio inderogabile, sarà ammorbidito. Potrebbero essere messi a disposizione posti di sottogoverno, qualche sottosegretariato, e forse persino qualche ministero.