Siegmund Ginzberg per “la Repubblica”
DONALD TRUMP E MELANIA ALLA CASA BIANCA
Guardando le mappe del risultato delle presidenziali americane, ho una strana sensazione di deja vu. Specie quella dei risultati contea per contea. Ancora più della mappa del voto stato per stato, mostra un piccolo numero di poligoni azzurri (il colore che tradizionalmente indica il voto democratico) accerchiato da un mare immenso di poligoni rossi (il colore del voto repubblicano).
Le periferie (le campagne, avrebbe detto Mao un tempo) hanno accerchiato e sommerso le città. L' impressione visiva è simile a quella del dettaglio del voto di quest' estate che portò al Brexit. Simile agli ultimi due voti in Turchia che diedero quasi la maggioranza a Erdogan l' anno scorso. Simile a quello che potrebbe succedere nelle prossime votazioni in Europa.
Hillary Clinton ha preso il 93 per cento dei voti nel District of Columbia, il cuore della capitale Washington. L' 80 per cento e più a Manhattan e negli altri distretti di New York City. Oltre il 70 a Los Angeles e Chicago. In numero assoluto di voti, Clinton ne ha presi almeno 200.000 più di Trump. Che alla Casa Bianca vada Trump, che di voti ne ha presi meno di lei, dipende dal sistema dell' Electoral College, per cui in ciascuno Stato il primo arrivato prende tutti i grandi elettori.
Nessun sistema elettorale è perfetto. Loro se lo tengono com' è da due secoli. Rispondeva, pare, alla preoccupazione dei padri fondatori della Costituzione che i più popolosi Stati del Nord pesassero molto più degli altri.
Ma la mappa del voto contea per contea mette ancor più in risalto un' altra anomalia: il voto democratico (blu) si concentra in alcune piazzeforti assediate da un mare repubblicano (rosso). L' America è fatta così: grandi città circondate da enormi estensioni molto meno abitate. Persino a New York se si esce dalla città si è subito immersi nel verde infinito della Hudson Valley.
anche la figlia di john wayne alissa appoggia donald trump
Anzi, in questa stagione di foliage autunnale, da infinite sfumature di rosso e giallo, di struggente bellezza. Nelle grandi città la percezione dominante è quella delle élite. Nel resto del paese è sparso l'"americano medio". La mappa delle contee sarebbe dominata dal rosso anche se avesse vinto la Clinton, e lo era anche quando vinse Obama. Anche in America le città sono in genere più "di sinistra", più moderniste, e le campagne più "di destra", più conservatrici.
È sempre stato un po' così. Anche in Europa. La Parigi della Rivoluzione francese ebbe i suoi guai con la Vandea cattolica e contadina che parteggiava per Nobili e Monsignori. Un classico degli anni '60, "Le origini della dittatura e della democrazia" di John Barrington Moore, faceva delle campagne la culla della prima e delle città la culla della seconda. Il nazismo, contrariamente a quel che si può credere, non si era affermato a Berlino, città ad esso ostile, ma nella provincia.
Nel suo "E adesso piccolo uomo", Hans Fallada raccontò quasi in presa diretta come i kleine mann avevano cominciato ad amare Hitler. In America, per spiegare Trump ritorna il concetto, che risale agli stessi anni Trenta, dei forgotten men, la classe media bianca arrabbiata, "dimenticata" e "invisibile", tanto da sfuggire ai sondaggi.
Allora non andò allo stesso modo dappertutto. In America i "dimenticati", avevano votato per Roosevelt, che gli offriva il New Deal.
In Francia avevano votato per il Fronte popolare di Léon Blum.
La cosa più sgradevole delle mappe di queste presidenziali Usa è che ritraggono un vento cattivo che non soffia solo in America. C' è chi ha notato che la vittoria di Trump è una sorta di Brexit, ma di portata mondiale. Ebbene, la prima impressione visiva delle mappe del day-after di quel referendum mostrava una simile prevalenza delle "campagne" e delle periferie dimenticate sottovalutate e arrabbiate.
E non a caso analoga fu la sorpresa: eravamo andati a letto convinti dagli exit poll che avesse vinto il Remain per poi scoprire al mattino che era successo l' esatto contrario. Anche in quel caso le grandi città, che a cominciare da Londra avevano votato quasi plebiscitariamente per restare in Europa, apparivano sommerse da sterminate campagne per l' Exit. Una sola eccezione: la Scozia intera, che per far dispetto agli inglesi, aveva votato Remain.
C' è un' altra mappa elettorale ancora, che fornisce un' impressione visiva similare: quella delle elezioni parlamentari in Turchia nel Novembre 2015. Quasi tutta l' Anatolia (la Turchia profonda che potremmo fare corrispondere all' America profonda che ha votato Trump) ha il colore (in questo caso il giallo) assegnato all' Akp, il partito di Erdogan. Il viola indica i distretti in cui ha prevalso il Partito curdo. Il rosso le poche città costiere in cui ha continuato a prevalere il partito laico kemalista.
Istanbul è gialla perché è lì che hanno trovato fortuna e rivendicano il loro islamismo gli ex-dimenticati arrivati a milioni in questi anni dalle "campagne" dell' Anatolia. Questo succedeva prima del golpe, ben prima dell' intensificarsi della deriva autoritaria, ben prima che fosse tolta l' immunità ai parlamentari curdi che sono il principale ostacolo alle modifiche costituzionali che darebbero il potere assoluto al presidente. Erdogan aveva il consenso delle "campagne" ben prima di quello ottenuto sventando il golpe.
Non ho mappe analoghe per le elezioni che hanno portato al potere nella democrazia più popolosa del mondo, l' India, un partito religioso nazionalista, che diffida del resto del mondo e delle altre religioni. Sospetto che anche lì c' entrino qualcosa le "campagne", la maggioranza indù che si sente arrabbiata e dimenticata e per questo se la prende con musulmani e laici.
Le campagne che accerchiano le città erano una delle immagini più fortunate di Mao e della sua rivoluzione militare e contadina. Se però ci sia in Cina un vento analogo a quello che soffia in America e in Europa non ci è dato sapere: semplicemente perché la Cina non vota.
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