DAGOREPORT
Federico Capurso per lastampa.it
Il giorno successivo alla chiusura dello spoglio dei voti, nei capannelli di deputati del Movimento che si formano alla Camera, si fa la conta dei danni. Qualcuno la chiama «conta dei morti», perché in effetti nelle poche città in cui si sono presentati i Cinque stelle si fa fatica a trovare un candidato grillino sicuro di aver ottenuto un posto in consiglio comunale.
Giuseppe Conte, consapevole della debolezza del risultato, convoca una conferenza stampa da dove lancia un avvertimento molto chiaro al premier Draghi e ai colleghi di maggioranza: «Uscire dal governo? Ho incontrato tante persone che mi hanno fatto questa richiesta». Certo, «siamo responsabili», ma, avverte, «nessuno pensi che staremo zitti e buoni, perché questo non lo accetteremo mai».
Ai suoi, preoccupati dal risultato delle elezioni, prova a offrire una via d’uscita: annuncia prima il pacchetto di nomine dei nuovi coordinatori regionali e provinciali, pescati tra parlamentari ed eletti sui territori, poi fissa «entro la fine di giugno» il voto della Rete per modificare la regola dei due mandati, ma senza eliminarla del tutto, perché «la politica non può diventare un mestiere», sottolinea. Si sta discutendo se portare al voto solo la possibilità di modificare la regola aurea del Movimento, o se invece proporre subito il piano di deroghe dei maggiorenti M5S, con un limite di mandati slegato tra consigli regionali e Parlamento (compreso quello europeo), e un terzo mandato per chi ha ricoperto incarichi di governo, a Roma o nei territori.
È la fase due di Conte. Un’accelerazione che tuttavia non scalda i cuori dei parlamentari: «La risposta non può arrivare da nuove nomine – dice Gianluca Vacca -. C’è un problema di identità politica». I mal di pancia non sono isolati. Nel mirino di tanti eletti finisce la squadra di vice di Conte, ma anche lo staff della comunicazione. Si cerca un’uscita d’emergenza. C’è chi inizia a tessere rapporti “amicali” con colleghi di altri partiti e chi chiede a Conte di pensare a qualcosa di diverso, a una federazione di partiti di sinistra, sulla scia del progetto di Jean-Luc Mélenchon in Francia.
L’ex premier si è mostrato freddo con chi, nelle ultime settimane, ha accarezzato questa suggestione. Tanto che ormai, tra le truppe parlamentari, si inizia a fare il tifo contro il proprio partito: «Speriamo che il tribunale di Napoli emetta una nuova sentenza che azzeri tutto. Solo così, forse, Conte capirà che la strada del Movimento è finita». La sentenza è attesa questa settimana. Il tribunale potrebbe decidere di sospendere lo Statuto e l’elezione del leader, decapitando l’intero stato maggiore grillino. Sarebbe un colpo mortale alle aspirazioni dell’ex premier, che a quel punto dovrebbe guardare altrove.
giuseppe conte al seggio per il referendum sulla giustizia
A una federazione – auspicano persino tra i suoi fedelissimi - che tenga dentro Articolo 1, Sinistra italiana, i Verdi, l’Italia dei Valori. La storia che manca a Conte per dare credibilità al progetto, in questo modo, verrebbe portata da uomini come Pierluigi Bersani e Roberto Speranza. Ma Conte è fermo, mentre Enrico Letta dall’altra parte si muove e ha già iniziato a spingere i leader di questi partiti a fondersi in un unico soggetto che tenga i Cinque stelle fuori. Anche per questo, «per dare una sveglia», ragionano nel Movimento, servirebbe una doccia fredda da Napoli.
CONTE SALVINI giuseppe conte a palermo 4 di maio conte giuseppe conte