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Alessandra Ghisleri per “la Stampa”
Gli Stati che hanno aderito al Trattato Nord Atlantico del 4 aprile 1949 hanno confermato la loro fede negli scopi e nei principi dello Statuto delle nazioni Unite e il loro desiderio di vivere in pace con tutti i popoli e con tutti i governi.
Oggi il nostro Paese fa parte dell'Unione Europea e della Nato e quindi è tenuto a impegnarsi a comporre con i suoi mezzi qualsiasi controversia internazionale in cui potrebbe essere coinvolto -anche- uno degli alleati. Il conflitto in terra Ucraina sconvolge nelle immagini, nel suo racconto mediatico giornaliero e nel sapore acre della morte. E di fronte a tutto ciò, nel cercare di trovare delle risposte rispetto a quanto accade, emergono dubbi e perplessità conditi soprattutto dalla paura e dal desiderio di non essere coinvolti in maniera diretta nella guerra.
Il 40,4% degli italiani, infatti, teme che il conflitto in Ucraina possa valicare i confini coinvolgendo anche altri Paesi, costringendo l'Italia ad intervenire direttamente. Un cittadino su 3 ha paura che a causa della mancanza di un dialogo di pace e di accordi diplomatici migliori, si possa innescare una - terza - guerra mondiale (30,8%). Insomma, è come tornare indietro di un secolo tenuto conto che il 71,2% dichiara paure legate strettamente alla guerra, mentre un cittadino su 4 (25,5%) teme dure conseguenze economiche.
Le persone si sentono impantanate con una pandemia in fase recessiva, ma ancora presente, e una guerra ai confini dell'Europa. Guardano con diffidenza le potenzialità delle sanzioni economiche inflitte alla Russia di Putin per arginare il conflitto: il 41,0% è convinto che siano utili, ma non decisive; il 20,5% pensa che non servano a nulla, mentre il 18,8% le trova pericolose perché possibile fonte dell'inasprimento del conflitto. Solo il 14,6% le crede fondamentali.
Alla fine, gli italiani si sentono gli unici veri penalizzati perché si trovano di fronte a una scelta tra l'intenzione di essere utili con i loro sacrifici "economici" per poter dare una mano ad accelerare la fine del conflitto e l'azione marcata dal desiderio di lontananza dal conflitto come scelta autodifensiva, per non essere coinvolti in una guerra che ancora non si comprende fino in fondo.
Su questa linea il 46,2% degli italiani è contrario all'invio di armi (missili, cingolati, artiglieria pesante, ...) in Ucraina, mentre il 41,0% è favorevole. I timori delle persone guardano al futuro per scoprire se ci sono delle previsioni e delle visioni rispetto ai cambiamenti sociali che l'impatto della guerra potrà avere sul nostro Paese e sulla vita di ciascuno. Siamo in guerra o non siamo in guerra? Questo conflitto lo percepiamo come europeo - a differenza di quello dei Balcani - perché improvvisamente ci si rende conto che i cambiamenti geopolitici sono prossimi e ci riguardano da vicino; tuttavia, non ne conosciamo ancora i veri risvolti e le possibili ricadute che si potranno avere non solo in termini economici.
I nuovi rapporti tra quello che abbiamo sempre compreso come Occidente e il nuovo Oriente rendono l'opinione pubblica sempre più diffidente perché il punto di osservazione a cui tutti fanno riferimento è l'Europa. Le ambiguità si registrano tra chi è a favore dell'ingresso in tempi rapidi dell'Ucraina nella Ue (42,0%) e chi è contrario (39,8%); mentre più chiara è la posizione di chi si oppone all'ingresso dell'Ucraina nella Nato (48,4%) e chi è favorevole (31,3%).
È come se avessimo una doppia lettura dove da una parte abbiamo il risvolto delle sanzioni europee nei confronti della Russia, più o meno accettabili; mentre dall'altra compare lo spettro di un intervento diretto nel conflitto. La distruzione di palazzi, abitazioni, vite, famiglie, storie di legami offre una forma visibile e tangibile del significato della guerra dietro cui possiamo riconoscerne il dolore. E le nostre paure si sintetizzano proprio nel non volerci identificare con loro.