Giordano Stabile per la Stampa
I nostri cari emiri. Il titolo di un saggio di qualche anno fa, 2016, ora di bruciante attualità. Autori due giornalisti francesi, Georges Malbrunot e Christian Chesnot. La guerra in Siria era all'apice, Bashar al-Assad usava tutte le armi, anche proibite, per massacrare i ribelli. Le accuse contro le monarchie del Golfo, in quel momento i principali sostenitori della rivoluzione siriana, valgono agli autori anche accuse di "assadismo".
Ma l'inchiesta guardava lontano e lo scandalo nel cuore della democrazia europea conferma tutte le loro preoccupazioni. L'alleanza tra Occidente e Paesi del Golfo, che vede la Francia fra i principali protagonisti, ha il suo lato oscuro, fatto soprattutto di corruzione. «Da una parte c'è lo scambio irrinunciabile - conferma Malbrunot - tra forniture energetiche e sicurezza, con gli Stati Uniti come garante supremo dell'esistenza stessa dei ricchissimi ma piccoli emirati, minacciati dall'Iran. Dall'altra un flusso di investimenti gigantesco verso l'Europa, sempre più spesso opaco».
È il Qatar, il Paese con il reddito pro capite più alto al mondo, 70 mila dollari all'anno, a esserne la fonte. Con la Francia il rapporto è simbiotico.
Sboccia negli anni Novanta, ma è nel 2009, dopo la mediazione qatarina per la liberazione delle infermiere bulgare prigioniere di Gheddafi, che il presidente Nicolas Sarkozy impone una convenzione fiscale a misura dell'allora emiro Hamad bin Khalifa al-Thani, compresi famigliari e amici, senza ritenute alla fonte.
In pratica, la Francia diviene un paradiso fiscale per i ricchi qatarini. Lo shopping è gigantesco. L'Hôtel Lambert sull'Ile Saint-Louis, nel cuore di Parigi, il casinò di Cannes, quote nei principali gruppi del lusso, fino alla perla, la squadra di calcio del Psg, che sarà una delle porte d'ingresso per arrivare all'assegnazione dei Mondiali di Calcio.
hamad bin khalifa al thani, moza bint nasser nichoals sarkozy
Ma il trattamento privilegiato si accompagna a «innaffiatura» di uomini politici. «La maggior parte dei francesi sono stati "innaffiati" dal Qatar durante la presidenza Sarkozy - precisa Chesnot -. Doha però ha anche finanziato le campagne sia dei laburisti che dei conservatori britannici nel 2015. Mentre negli Stati Uniti la penetrazione è soprattutto emiratina e saudita: Mohammed bin Salman si è vantato si aver contribuito per il 20 per cento della campagna di Hillary Clinton nel 2016», salvo poi diventare uno dei più stretti alleati di Donald Trump. Un altro esempio di come non ci siano «preferenze di campo».
L'importate è l'obiettivo, cioè influenzare le società occidentali. Con tutti i mezzi.
Ne hanno in abbondanza.
Qatar ed Emirati hanno sviluppato una strategia di soft power, che ha come pilastri «l'educazione, la cultura e lo sport», conferma Malbrunot: «Hanno i mezzi per comprarsi tutto o quasi: i quadri più preziosi, i club più prestigiosi, come il Manchester City, ma anche i politici. Quando c'è un problema, un ostacolo, la loro reazione può essere riassunta in una frase: "Compralo". Il risultato è che la classe politica europea ha spesso difficoltà a resistere a queste sirene». E se noi vediamo i miliardari in turbante ancora come «beduini ignoranti», loro ci percepiscono come gente che si vende facilmente «per un libretto degli assegni o un Rolex». O soldi in contanti in una valigia. Lo scandalo che ha coinvolto il patron del Psg, Nasser al-Khelaïfi, ne è un esempio. Che seguono quelli sulle mazzette alla Fifa o il finanziamento a moschee estremiste.
È dal fronte culturale che forse arrivano le minacce più insidiose. Come ancora Malbrunot ha documentato in un altro saggio, Qatar Papers, Doha è anche la principale finanziatrice di imam vicini alla Fratellanza musulmana, che diffondono una visione integralista dell'islam nelle diaspore dei Paesi arabi in Europa. L'altro volto scuro dell'Emirato. L'alleanza con i Fratelli musulmani è suggellata dall'accoglienza al loro leader Yusuf al-Qaradawi, condannato a morte in Egitto, e rifugiato a Doha fin dal 1977, dove fonda la facoltà di Studi islamici all'Università e diventa dagli anni Novanta in poi uno dei volti di Al-Jazeera in arabo. L'Emirato ha protetto il controverso imam jihadista fino alla sua morte, il 26 settembre scorso. «La soluzione è il Corano», era il suo motto. Soprattutto se oliato di petrodollari, si potrebbe aggiungere.